A.I. Intelligenza Artificiale
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Steven Spielberg
Il regista di Artificial Intelligence racconta l'eredità di Stanley Kubrick

Regista di fama internazionale, autore di alcuni dei più grossi successi cinematografici degli ultimi 30 anni. Conversava telefonicamente con Kubrick dai primi anni '80, quando si conobbero agli Elstree Studios in cui si giravano Shining e I Predatori dell'Arca Perduta. Poche settimane dopo la scomparsa di Kubrick aveva dichiarato che non avrebbe diretto Aritificial Intelligence, pur confermando il suo coinvolgimento nelle fasi preparatorie del film. Alla fine, per dirigere il film ha interrotto la lavorazione di Minority Report.

 
Spielberg: il mio film con Kubrick. Ma senza Stanley non posso farlo
di Silvia Bizio

Nel corso di una serata-ricordo in onore di Stanley Kubrick presso la sede del Sindacato Registi d'America domenica scorsa a Los Angeles, Steven Spielberg ha rivelato che l'improvvisa morte di Kubrick lo scorso marzo ha di fatto impedito che si potesse realizzare il progetto che egli aveva con il regista scomparso. Spielberg ha rivelato infatti quello che pochissimi dei suoi collaboratori più stretti sapevano: negli scorsi tre anni lui e Kubrick avevano programmato un film prodotto da Kubrick e diretto da Spielberg.

"Ho circa 900 pagine di fax su quella storia che è stata bloccata nel momento in cui Stanley è morto", ha detto Spielberg, che ha rifiutato però di rivelarne i contenuti. "Stanley mi prenderebbe a calci se lo facessi."

Spielberg ha invece ammesso che lavorare con Kubrick avrebbe significato adattarsi a un diverso stile di regia: "Io sono un regista veloce, mentre Stanley era molto lento e metodico", ha detto Spielberg. "Era uno che pensava a lungo alle cose. Ogni tanto mi diceva ti farò sapere, e poi non lo sentivo per una settimana. Quando mi telefonava, una settimana dopo, ci aveva davvero pensato su per sette giorni, e mi teneva al telefono per tre ore per discuterne nei minimi dettagli."

Dopo la morte di Kubrick il progetto probabilmente finirà per essere abbandonato, confessa Spielberg, "perché gran parte del mio interesse nel farlo era proprio quello di lavorare con Kubrick." [...]

Repubblica.it, 19 Maggio 1999

Steven Spielberg
 
Spielberg: così ho completato l'idea di Kubrick
di Giovanna Grassi

Anteprima di A.I.: per realizzare il film ho aggiunto due racconti a quello che lo aveva affascinato.

Sono tre i racconti dello scrittore di fantascienza Brian Aldiss che ho utilizzato per scrivere in due mesi, ma con anni di ripensamenti alle spalle, la sceneggiatura di A.I. - Artificial Intelligence. Non ho utilizzato soltanto Supertoys last all summer long, che tanto aveva affascinato Stanley Kubrick. La Dreamworks ha acquistato le tre storie e due sono state scritte dopo la morte di Stanley, sviluppando alcuni suggerimenti da lui dati a Brian in relazione all'evoluzione della cibernetica, che appassionava Kubrick. Tutto il film è un atto d'amore e di riconoscenza per lui.

Non ha avuto timore di unire i tre racconti?
Le tre storie narrano l'odissea di un supergiocattolo impastato d'amore e di circuiti meccanici, che vuole farsi amare e crescere, come un vero bambino, come un Pinocchio-Peter Pan. Le tre storie hanno una sola matrice che mette a fuoco anche il rapporto sempre più complesso degli esseri umani con le intelligenze artificiali, i robot.

Quali sono i momenti più significativi delle tre parti?
Nella prima il dramma familiare: David torna a casa e si confronta con il vero figlio della coppia che ritorna dopo una lunga malattia. Nella seconda il viaggio di conoscenza di tre personaggi in fuga: David, il suo orso giocattolo parlante e l'androide impersonato da Jude Law. Nella terza, la più drammatica ambientata in una città del futuro sommersa dall'acqua, il sogno e la poesia: è il giorno felice che viene concesso a David nell'incontro, fatto di memoria, con la madre. Dormendo accanto a lei, David entra in quella zona del mondo "in cui nascono e si realizzano i sogni." E' il momento più poetico e nasconde il significato del film, ed è anche la parte più digitale. L'evoluzione della storia sviluppa il rapporto dell'uomo con la tecnologia.

Perché Kubrick pensava che lei fosse il regista più adatto a realizzare il film?
Riteneva che il racconto del bambino androide fosse più vicino alla mia sensibilità che alla sua. Diceva: vorrei che fosse un film prodotto da me e diretto da te. Abbiamo lavorato a lungo via fax. Kubrick era convinto che io avrei saputo girare questo film con un vero bambino ed era ciò che lui mi chiedeva.

Vuole spiegare il tema che tanto appassionava Kubrick e cioè l'umanesimo dei robot, creature dotate di una ricerca di vita?
David scopre che non è unico: lo scienziato (William Hurt) che lo ha costruito, anche per dimenticare il dolore della morte del figlio, lo ha replicato migliaia di volte nel laboratorio. Il confronto tra David e i suoi replicanti spiega come le entità e le macchine create dall'uomo siano amate e odiate perché esse vivono con un tempo eterno e diverso dal nostro, ma racchiudono anche i nostri sogni e il mistero o la paura che ci provoca l'ignoranza della verità del nostro essere.

Il collante delle tre parti sembra essere la favola di Pinocchio.
Amo il libro di Collodi e la sua dicotomia tra sogno e realtà. Collodi ha dato vita al romanticismo della science fiction, alla base del film. Ma ci sono altri spunti: il personaggio di Joe androide gigolò, l'attore Jude Law, è una sorta di Dracula indifeso e programmato per soddisfare le sue clienti e tradito dagli umani. E' un personaggio romantico, in un look futurista, a metà fra un gentiluomo vittoriano ed Elvis Presley, anche nell'abbigliamento.

Lei fa accenni precisi al popolo eletto e alle persecuzioni, che rinchiudono i diversi in un ghetto, raccontato in A.I. come un tragico paese dei balocchi. E' una metafora storica?
Mi considero un narratore di storie, che cerca un equilibrio tra la ragione e il cuore, con rispetto per il pubblico. Queste mie scelte spero che riflettano sempre componenti anche sociali. Ho sempre pensato ad A.I. come a un organismo vivo e in evoluzione: è anche la mia idea del mondo e del cinema.

Corriere della Sera, 16 Giugno 2001

Steven Spielberg
 
La nuova sfida di Spielberg: "Io e Kubrick, inventori di robot."
di Silvia Bizio

Il regista parla del suo rapporto con il grande collega e di come è nato il progetto di Artificial Intelligence.

NEW YORK
In giacca e cravatta grigia, dichiarandosi distrutto dalla stanchezza pur non dandolo affatto a vedere, Steven Spielberg ha lasciato per qualche ora il set del suo nuovo film con Tom Cruise, Minority Report, per presenziare a New York alla prima mondiale di A. I. Artificial Intelligence, il film che ha scritto e diretto sulla base di un trattamento di Stanley Kubrick. "Girare un film ti assorbe così completamente che ti dimentichi di tutto il resto", dice. "Mi fa bene parlare di A. I., e ricordarmi che c'è un mondo là fuori." Precisando però che "Stanley voleva che questo film venisse visto da tanti punti di vista e mi ha sempre detto di non darne mai una spiegazione definitiva perché sarà l'unica che passerà alla storia."

Alcuni spettatori pensano che le creature che si vedono alla fine del film siano extraterrestri. Invece sono robot, giusto?
Sono contento di chiarirlo: non sono extraterrestri, sono il punto di perfezione a cui sono arrivati i robot fra 2000 anni. Hanno creato se stessi e continuano a procrearsi dopo che gli esseri umani sono scomparsi. Il bambino robot David è così speciale per loro perché è stato creato da esseri umani, è come un'antichità da venerare, un oracolo. Il guaio è che il film l'ho girato io, se lo avesse fatto Kubrick nessuno avrebbe pensato agli extraterrestri.

Quanto sono diverse le reciproche visioni del film?
Io ho scritto la sceneggiatura, ho girato il film secondo il mio modo di raccontare, ma Stanley aveva realizzato con un illustratore quasi 850 disegni del film, e su quelli sono basati tanti dei momenti visuali del film, come la fiera dove vengono fatti a pezzi i robot, la luna con la gondola sotto, l'orsacchiotto. Dopo la sua morte, suo cognato Ian Harlan mi ha mandato scatoloni di note e disegni di Stanley; non c'erano concetti filosofici sull'intelligenza artificiale, erano solo note sugli aspetti visivi del film. Stanley, per esempio, avrebbe voluto costruire David come una macchina, aveva anzi usato uno dei suoi nipoti come prototipo e aveva immaginato un Davidrobot che era un completo disastro. Poi, dopo aver visto Jurassic Park, si era convinto che avremmo potuto creare un robot digitale, ma sapevamo entrambi che non avrebbe mai funzionato. Così abbiamo abbandonato quell'idea in attesa di trovare il bambino attore giusto. E' come se Stanley avesse scritto questo incredibile romanzo illustrato e io l'ho adattato. Non è un "omaggio" - una cosa che lui odiava - ma se guardi attentamente nelle scene di Rouge City ci sono alcuni riferimenti ai suoi film.

Come era il suo rapporto quotidiano con Kubrick?
Era un rapporto basato sull'umorismo, nessuno gli riconosce il suo humour, chiunque abbia avuto la fortuna di conoscerlo sa che amava prenderti in giro e raccontarti chissà quali storie. Io l'ho incontrato solo 12 volte in 18 anni, sempre a casa sua a St. Albans, ma ci parlavamo al telefono una volta al giorno, e io ho pagato tutti i conti perché chiamava sempre a carico del ricevente. Eravamo amici cinematografici, mi telefonava per chiedermi perché un film avesse avuto tanto successo al botteghino, e io non lo sapevo mai. Parlavamo di figli, delle nostre vite. E di film, e dal 1984, quando mi ha raccontato la storia per la prima volta, parlavamo di Artificial Intelligence. Stanley era il cervellone più famoso del mondo, mi faceva domande e mi succhiava il cervello fino a quando era asciutto e allora attaccava il telefono e mi salutava fino a due settimane dopo quando ricominciava con le domande. Aveva diversi tipi di amici, io non ero uno dei suoi amici intellettuali. Arthur C. Clarke era il suo amico cervellone, Stanley veniva da me a chiedermi di gente, cineprese, pubblico, botteghino. Non era un eremita, era sempre informatissimo sugli sviluppi della tecnologia, a volte mi mandava fax con articoli che aveva letto da qualche parte, era affascinato dai computer interattivi, è stato il primo a prevedere Internet e già alla fine degli anni '70 aveva predetto che ci sarebbe stato un computer in ogni casa.

Come vi eravate conosciuti?
Nel 1979 stavo per fare I predatori dell'arca perduta ed ero andato a Londra a vedere il set dove Stanley aveva costruito gli interni dell'hotel di Shining. C'era questo piccolo uomo con la barba incolta, un maglione due taglie più grosse della sua, pantaloni che gli stavano stretti e le pantofole ai piedi; aveva in mano una cosa che aveva appena inventato, una sorta di "viewfinder" a periscopio, in cui vedeva i modellini del set e pianificava così le sue inquadrature, è venuto da me e mi ha chiesto: "Vuoi vedere cosa ho costruito?" Sapeva chi ero perché aveva visto i miei film, mi ha fatto guardare nel suo periscopio e mi ha invitato a cena a casa sua per la sera dopo.

Il rapporto fra la madre e il bambino robot nel film è anche una metafora dell'amore per gli oggetti inanimati...
Ogni giorno investiamo tanto amore in oggetti inanimati: amiamo le nostre macchine, i nuovi gadget, il nuovo computer... All'università avevo una Pontiac del '61 che chiamavo affettuosamente Bert, fino a quando non si è rotto il volante e sono andato a sbattere. Allora le ho cambiato nome, e non era più tanto affettuoso. Personalmente non voglio vedere il giorno in cui il mio portatile IBM comincia a camminare per casa o in cui un bambino o amante meccanico sostituisce una persona reale. Penso che sia una bella storia da raccontare con una bella etichetta di avviso che dice, stiamo attenti a che questo non succeda.

C'è un pessimismo maggiore in questo film che in Incontri Ravvicinati. E' lo Spielberg di mezza età, più preoccupato?
Che intende dire di mezza età? Io sono ancora un ragazzino. Io credo che con gli anni cerco di raccontare storie più autentiche. So che da Schindler's List ad Amistad a Salvate il soldato Ryan la mia visione delle cose è cambiata. Non ho fatto di proposito Harry Potter perché per me era come sparare alle anatre in un barile, non c'era nessuna sfida.

Repubblica.it, 28 Giugno 2001

Steben Spielberg
 
Video Intervista per il Festival di Venezia
 

Mi piacciono i festival, sono stato a quelli di Venezia e Deauville. Sono molto interessanti. Ma quest'anno il periodo in cui si svolge la Mostra del Cinema ha coinciso con il "bar mitzvah" (rito della religione ebraica che si compie all'età di 13 anni, n.d.r.) di mio figlio. Subito dopo iniziano le scuole e devo occuparmi dei trailer del mio ultimo film, Minority Report, completarne il montaggio e curarne l'uscita. E tutto questo si è concentrato nello stesso periodo perché quest'anno ho deciso di prendere due mesi di vacanza da dedicare interamente alla mia famiglia e così mi ritrovo con molto lavoro arretrato.

Crede che i festival siano utili per i registi?
Sì, assolutamente. E' un luogo di dibattito per disucutere dei film e la cosa più eccitante dei festival, per me, è ascoltare i commenti in sala. La gente commenta e io cerco di sentire ciò che dicono. I festival sono eccitanti: è come una prima mondiale durante la quale proponi il tuo film al mondo intero. Gli occhi di tutti sono ora su Venezia e Deauville.

A.I. è un film unico, per la collaborazione tra Kubrick e Spielberg da cui nasce...
Sì. E' stata una collaborazione molto particolare. Per certi versi lui è stato il mio mentore durante tutta la sua vita e continua ancora ad esserlo con il suo lavoro. Ci siamo frequentati per diciotto anni e avevamo lo stesso interesse per l'intelligenza artificiale e la fantascienza. Avevo un grande rispetto per il genere di film che ha fatto e lui ne aveva per i film che ho fatto io. E così è nata questa collaborazione che è stato lui ad organizzare. Stanley sentiva che i nostri film erano allo stesso tempo molto personali ma anche simili. Così nel 1994 mi ha invitato a partecipare al processo creativo. Mi chiese di raggiungerlo nella sua casa in Inghilterra. Ero a New York e il giorno dopo presi un volo per Londra, arrivai a casa sua e per prima cosa mi mostrò lo storyboard di A.I. Da allora, quel film ha catturato il mio interesse, Stanley mi ha intrigato con questo progetto incredibile e poi mi disse: "Io lo produco e tu lo dirigi." E' stato uno dei regali più belli che abbia mai ricevuto. Quattro mesi dopo aver accettato questa sorta di "matrimonio", mi vennero i primi dubbi perché pensavo che questa fosse una storia che era Stanley a dover raccontare. E' l'incredibile seguito di 2001: Odissea nello spazio. Così gli dissi: "Sai cosa facciamo? Io lo produco gratuitamente e tu lo dirigi." Accettò e mi disse grazie. Però morì prima che riuscissimo a realizzare questo progetto.

Quanto A.I. è un film di fantascienza e quanto, invece, si tratta di vera "futurologia"?
Beh, tutta la fantascienza è basata sulla scienza ovvero sulla possibilità che certi eventi accadano nel futuro, surante la nostra vita o in quelle delle prossime generazioni. Credo che sia proprio nel dna di A.I. la possibilità che un giorno, ciò che racconta, diventi realtà così come lo immaginava Stanley Kubrick. Credo ci siano forti probabilità che il mondo si stia muovendo in questa direzione, perché come specie umana abbiamo un "ego" così smisurato: dobbiamo procreare, anche in mdo artificiale. Guardi l'evoluzione della ricerca scientifica. E' molto positiva per il genere umano, ma non sono sicuro che lo siano altrettanto i progressi della scienza nella ricerca dell'intelligenza artificiale. Sento dentro di me come una scienziato crea le cose: dopo una scoperta, le cose vanno sempre più veloci e in maniera sempre più utilitaristica di come la scienza immagina. Pensate a Frankenstein per un momento, il dottore issa con le catene il mostro per infondergli la vita grazie a i fulmini, ma non sa quali saranno le conseguenze... Mi piace fare questi riferimenti melodrammatici e cinematografici quando parlo della scienza. Se lei guarda a quello che è successo nel passato si accorgerà che alla fine, la fantascienza, diventa sempre realtà scientifica.

Quindi lei pensa che sia possibile, nei prossimi decenni o secoli, creare qualcosa come "amore artificiale" (nel film, il personaggio di Jude Law, è un automa creato apposta per soddisfare il desiderio sessuale di donne sole, n.d.r.)?
Ne abbiamo già oggi, di amore artificiale ma non mi dilungherò su questo. Ci sono molte forme di amore artificiale e ovviamente non sto parlando della mia esperienza personale, ma credo realmente che la scienza possa fare tutto, possa creare qualsiasi cosa. L'io e il cervello dell'uomo, insieme, sono molto pericolosi, spesso lavorano insieme come complici per creare bellezza e nuove realtà, oppure apocalissi imminenti. Dobbiamo solo aspettare e vedremo.

Quando crea un film di questo genere cosa si aspetta dal pubblico, quale reazione spera di avere dal pubblico in sala?
Beh, A.I. è il film più esistenzialista sul quale abbia mai lavorato. Tratta di un soggetto del quale non sono sicuro io stesso di essere abbastanza qualificato per parlarne. Ma tramite il lavoro di Stanley e il mio interesse, la mia ricerca, ho fatto del mio meglio per farlo come lo avrebbe fatto Stanley, in in un modo in cui la gente non lo dimenticherà mai. Spero che la gente si ricordi della mia versione di A.I. a lungo così che possa pensare alle responsabilità che abbiamo l'un l'altro per ciò che creiamo e per l'ego che ci spinge a creare. Ma so di certo - cerco di essere umile di fronte alla telecamera (Spielberg indica l'obiettivo) - che i film di Stanley Kubrick avranno la più grande longevità di qualsiasi altro regista.

KataWeb Cinema, 4 Settembre 2001
E' disponibile uno streaming Real per vedere l'intervista

Steven Spielberg
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