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La parola all'artista
di Robert Emmett Ginna

Quasi 40 anni prima della sua morte e dell'uscita di Eyes Wide Shut, il regista Stanley Kubrick parlò della sua vita e dei suoi film. Un'intervista esclusiva di Robert Emmett Ginna per il settimanale Entertainment Weekly.

Il manoscritto di Ginna è stato anche alla base per un articolo del quotidiano inglese The Guardian. L'editorialista ha scelto brani dell'intervista non pubblicati da Entertainment Weekly, permettendo di conoscere qualche migliaio di parole kubrickiane in più delle 26.000 totali. Questo articolo è stato originariamente pubblicato nel supplemento Friday Review del Guardian, sotto il titolo di A Film Odyssey.

 
L'odissea ha inizio
di Robert Emmett Ginna

Fino alla sua inattesa morte lo scorso mese a 70 anni, il regista Stanley Kubrick - che è stato sempre un personaggio evasivo - era diventato il soggetto di accesi dibattiti che a volte arrivavano alla mitizzazione. Con una ridotta troupe e con un grande perfezionismo aveva da poco finito di girare Eyes Wide Shut a Londra, con Tom Cruise e Nicole Kidman. Il regista ha così realizzato 13 lungometraggi, che includono 2001: Odissea nello Spazio e Arancia Meccanica, uscendo da un ritiro durato 12 anni per realizzare il suo nuovo film che aveva tenuto gli attori occupati per l'incredibile tempo di 19 mesi densi di ciak ripetuti e scene rigirate ex novo.

Quando ho sentito della sua morte, sono andato a scavare nei miei archivi in un vecchio deposito nel New Hampshire e ho tirato fuori la trascrizione di un'intervista che feci a Kubrick nel 1960 per la rivista Horizon. Kubrick, che all'epoca aveva 31 anni, aveva appena concluso la post-produzione di Spartacus e stava preparando Lolita. Accetto' di essere intervistato per la rubrica "Gli artisti parlano in prima persona" della rivista e mi invitò nella sua modesta casa in stile spagnolo nei dozzinali palazzi di Beverly Hills.

Nonostante accendesse una sigaretta dopo l'altra appariva rilassato. Indossava una giacca sportiva grigia e pantaloni di velluto a coste. Kubrick parlò per ore del mestiere di regista, della sua vita fino a quel momento, come pure delle sue affinità con lo scrittore e drammaturgo austriaco Arthur Schnitzler (1862- 1931), la cui novella Traumnovelle (Doppio Sogno) sarebbe diventata la base per Eyes Wide Shut.

Le interviste della rivista Horizon erano di solito lunghe 4.000 o 5.000 parole, ma la trascrizione di quella di Kubrick toccava le 26.000 parole. Feci diversi tentativi per ridurla a una lunghezza pubblicabile con l'aiuto di Kubrick stesso, ma lui diventò sempre più preso dal suo lavoro. Anche io mi dedicai al cinema e alla fine la rivista chiuse i battenti. L'intervista non fu mai pubblicata.

Alcuni anni più tardi, lavoravo come produttore agli studi britannici della MGM dove Kubrick era immerso col suo 2001. Una mattina arrivai al mio ufficio e scoprii che Stanley aveva iniziato a recintare con mura la sua parte degli studio. Il simbolismo era appropriato. Da allora diventò sempre più un recluso e di lì in seguito parlò molto raramente con la stampa, preferendo che fossero i suoi film a parlare per lui.

Di seguito, alcuni estratti di quella che Kubrick chiamava "la nostra eroica chiacchierata".

Prima del suo ultimo film, Spartacus, lei aveva iniziato a lavorare su I Due Volti della Vendetta, con Marlon Brando, che alla fine è stato diretto da lui stesso. Come mai ha abbandonato quel progetto?
Quando lasciai il film di Brando non c'era ancora una sceneggiatura completa. Mi apparve ovvio che Brando voleva dirigere personalmente il film. Io ero una sorta di specchietto per le allodole in mano a Brando, che così si assicurava che nessuno lo bloccasse.

Prima di Spartacus, i suoi film erano di dimensioni più ridotte. Ha deciso di seguire la tendenza hollywoodiana a fare colossal?
Penso che Spartacus sia probabilmente parte della tendenza a voler combattere la televisione dando al pubblico qualcosa che la televisione non può dargli - ossia un gran numero di attori famosi e un grosso spettacolo. Ma quello che è una tendenza a Hollywood non necessariamente è una tendenza per me, che ho sempre approcciato qualunque mio film con la prospettiva di raccontare una storia. E a volte accade che una storia abbia bisogno di tre ore e mezza per essere raccontata, o di costumi dell'antica Roma piuttosto che di quelli contemporanei; e se alcune scene necessitano di 5.000 persone per rappresentare una legione romana, credo che sia semplicemente parte del processo di realizzare il film.

Che cosa la attrasse del libro Lolita per sceglierlo come soggetto di un film?
Rimasi istantaneamente colpito dal libro a causa del senso di realismo che aveva, della sua verità, e la vicenda mi sembrava completamente efficace in termini drammaturgici. Mi hanno sempre divertito molto i commenti allarmisti sulla presunta pornografia del libro, fatti da giornalisti e persone di un certo ambiente, perché per me Lolita è semplicemente una storia d'amore triste e tenera. Lionel Trilling, in un articolo scritto a proposito del libro, ha detto che Lolita era la prima grande storia d'amore contemporanea. Sosteneva che nelle grandi storie d'amore del passato, gli innamorati - a causa del loro amore e attraverso quello stesso amore - si estraniavano completamente dalla società scandalizzando le persone attorno a loro. E di recente, a causa della decadenza di valori morali e spirituali del 20esimo secolo, in nessuna storia prima di Lolita era accaduta una cosa simile.

Ha dichiarato che le piacciono molto le opere di Arthur Schnitzler. Che cosa la attrae?
Le sue opere sono secondo me capolavori di scrittura drammatica. E' difficile trovare un altro scrittore che abbia compreso l'animo umano in modo più veritiero e che faccia rivelazioni più profonde delle sue riguardo a come le persone pensano, agiscono e, in definitiva, sono, e che abbia anche un punto di vista completamente consapevole - solidale anche se un po' cinico.

Schnitzler lascia molte cose non dette, implicite, ha un modo quasi circolare di arrivare al punto.
Secondo me tutti i grandi drammaturghi raggiungono i loro scopi in questo stile. Il modo più potente per far capire a una platea il tuo punto di vista è di prenderla per i sentimenti, non per la mente. Certo, è un modo molto più pericoloso di scrivere, perché se il pubblico non riesce a scoprire ciò che vuoi dire, rischia di restare perplesso e disturbato alla fine del racconto.

Pensa di essere attratto dalle opere che hanno uno spiccato carattere di ambiguità?
Beh, questo è un punto interessante. Mi è sempre sembrato che nell'arte una ambiguità veritiera - se possiamo usare questa definizione paradossale - sia la forma più perfetta di espressione. A nessuno piace che gli vengano spiegate le cose. Prendi Dostojevsky. E' tremendamente difficile dire che cosa lui provi per ciascuno dei suoi personaggi. Oserei dire che l'ambiguità è il prodotto finale di chi vuole evitare le verità superficiali e preconfezionate.

Ma non pensa che i film troppo ambigui possano perdere il grande pubblico?
L'intellettuale è certo capace di capire quello che il film vuole dire e riceve anche un certo piacere da questo suo processo di interpretazione, mentre il pubblico di massa può non esserne capace. Ma penso che il nemico principale del regista non sia l'intellettuale o il membro del pubblico di massa, ma il tipo di persona di media cultura che non ha né le capacità proprie dell'intellettuale di analizzare e decifrare correttamente ciò che il film vuole dire, né la reazione emotiva spontanea dello spettatore comune. E sfortunatamente ho l'impressione che molti di questi personaggi a metà tra gli intellettuali e il pubblico di massa siano occupati a recensire i film. Credo che il fatto di voler ridurre l'intento di un film in un solo paragrafo conciso, brillante e intelligente alla maniera della rivista Time dimostri una monumentale presunzione da parte dei critici cinematografici. Questo tipo di recensione è di solito molto superficiale, a meno che non si tratti di un film davvero pessimo, ed è anche estremamente ingiusta.

Che cosa l'ha spinta a fare il regista?
Sono nato a New York, dove mio padre era medico. I miei genitori volevano che seguissi anche io quella strada e che mi iscrivessi a medicina ma a scuola ero un vero disastro così quando presi il diploma non avevo il punteggio necessario per il college. Ma come quasi tute le cose belle che mi sono successe, per un puro colpo di fortuna, avevo un'amica alla rivista Look che mi diede un lavoro come fotografo. Dopo circa sei mesi, fui assunto a tempo pieno nello staff di fotografi. Il mio stipendio più alto arrivava a 105 dollari a settimana ma ebbi l'occasione di viaggiare molto per il Paese e di andare perfino in Europa, il che fu una gran cosa. Imparai moltissimo sulle persone e su come va il mondo. Poi realizzai un cortometraggio documentario - il primo che feci - dal titolo Day of the Fight [1951]. Raccontava la giornata di un pugile, Walter Cartier, con tutto quello che gli succedeva prima e durante l'incontro di boxe. Pensavo che ci fossero grosse opportunità nel realizzare documentari, tuttavia non ricavai un soldo da nessuno dei documentari che feci. Così realizzai un lungometraggio, Fear and Desire [1953], e dopo Il Bacio dell'Assassino [1955]. Il che mi portò a fare Rapina a Mano Armata [1956] con [il produttore] Jim Harris. Abbiamo fatto anche Orizzonti di Gloria e Lolita insieme.

Qual è la miglior preparazione per chi vuole fare il regista?
Guardare film. Una delle cose che mi dette sicurezza nelle mie capacità di regista fu di vedere un sacco di film di poco valore. Me ne stavo lì seduto nel cinema e pensavo, beh, non conosco assolutamente niente di come si fanno i film, però so che posso fare un film meglio di questo.

I suoi film di inizio carriera furono trattati bene dai critici?
Non proprio. Fear and Desire era un film molto scadente, molto insicuro, si riconosceva facilmente lo sforzo intellettivo che c'era dietro ma era fatto troppo rozzamente e anche male, e in modo inefficace. Il Bacio dell'Assassino aveva alcune scene d'azione emozionanti ma la storia era stata scritta in una settimana per sfruttare l'occasione di ottenere un finanziamento.

Quali elementi di un film un regista dovrebbe controllare secondo lei?
Il regista deve controllare tutto. Devi essere in grado di vedere l'intera problematica di portare la storia da raccontare sullo schermo cinematografico. Si comincia con la scelta del materiale; poi si prosegue con la creazione di circostanze contrattuali di natura legale e finanziaria appropriate per realizzare il film che hai in mente. Successivamente si passa alla scelta degli attori, alla creazione della storia, dei set, dei costumi, fino alla fotografia e alla recitazione. E quando il film è stato girato, è completo solo in parte. Considero il montaggio la diretta continuazione della regia. Penso anche che l'uso della musica, gli effetti ottici, e infine dei titoli di testa facciano tutti parte del raccontare una storia. Secondo me dividere tutti questi compiti su persone differenti è uno sbaglio.

Dato che prima di essere un regista lei è stato fotografo, la direzione della fotografia ha tuttora un particolare interesse per lei?
Beh, no, confesso che la storia e la recitazione mi interessano molto di più. Ma grazie alla mia esperienza di fotografo, sono stato in grado di sapere alla svelta il modo migliore per rappresentare fotograficamente una scena sullo schermo. Ma non inizio mai a pensare alle scene in termini di fotografia. Per prima cosa penso all'intento principale del film. Dopo che gli attori hanno provato la scena e hanno raggiunto un buon livello di realtà e si sentono carichi, solo allora guardo dentro l'obiettivo e comincio a pensare a quale sia il modo migliore per trasferire tutto questo sullo schermo. Parlando in generale, si può creare un'inquadatura interessante a partire da qualsiasi azione o situazione, se la composizione e l'illuminazione sono fatte bene. Ho visto un sacco di film in cui gli angoli di ripresa originali e gli effetti di illuminazione erano completamente incongrui con lo scopo della scena. Quando un tale film finisce, ti rendi conto di aver visto qualcosa di alquanto brillantemente fotografato ma che non ha alcun effetto.

Che cosa pensa riguardo usare grandi attori nei film? Preferisce piuttosto degli sconosciuti di talento?
No. Mi piaccono le star se sono anche bravi attori. Direi che ci sono situazioni in cui la consapevolezza della personalità della star è troppo forte perché il pubblico la superi, il che può rovinare il personaggio che la star sta interpretando, anche se il suo lavoro è buono. Ma credo che questi siano casi rari. Direi che il 95 per cento dei film che vengono distribuiti sono stati realizzati grazie all'interesse di una star che voleva farli. Il mondo del cinema sta diventando molto complicato, il pubblico non risponde più come una volta, e la sola garanzia che un produttore o un distributore hanno di riavere i loro soldi indietro è usare una grossa star come protagonista. Se le star sono brave, ti rendono la vita più facile.

La musica ha un ruolo importante nei suoi film?
Penso che la musica sia uno dei modi più efficaci di preparare un pubblico e di sottolinare dei concetti che vuoi che vengano compresi. L'uso corretto della musica, che include anche la sua assenza, è una delle più grandi armi che il regista ha a sua disposizione.

Ci sono alcuni film di registi particolari che lei considera punti di riferimento?
Credo che [Ingmar] Bergman, [Vittorio] De Sica e [Federico] Fellini siano i soli tre registi nel mondo che non sono solo degli artisti opportunisti. Con questo voglio dire che non stanno ad aspettare una storia che li interessi per poi filmarla. Hanno un loro personale punto di vista che viene ribadito di film in film, e inoltre sono loro stessi a scrivere o a farsi scrivere materiale originale su cui basare i film.

La sua opinione del mondo, della vita, è ottimista o pessimista?
Non mi prendo il disturbo di definirla. E' già abbastanza ingiusto cercare di farlo con quella di qualcun altro. Non voglio essere ugualmente ingiusto con me stesso. Una delle cose che ho sempre trovato estremamete difficili è, quando un film è finito, rispondere alla domanda dei critici che mi chiedono "Bene, che cosa voleva dire con questo film?". E senza voler essere troppo presuntuoso a usare questa similitudine, mi piace ricordare la risposta di T.S. Eliot quando qualcuno gli chiese la stessa cosa - credo a proposito di Terra Desolata. Eliot rispose "Volevo dire ciò che la poesia dice." Se avessi saputo dirlo in maniera diversa, l'avrei fatto.

The odyssey begins, di Robert Emmett Ginna
Entertainment Weekly, 9 Aprile 1999
Traduzione dall'inglese per ArchivioKubrick

Stanley Kubrick
 
Kubrick rivelato
di Robert Emmett Ginna

Per 39 anni un'intervista unica e sincera con il notoriamente reticente Stanley Kubrick ha languito, inedita, nel deposito di Robert Emmett Ginna. Mentre l'ultimo film del compianto regista debutta in America, Film Unlimited rivela il manoscritto sepolto.

Robert Emmett Ginna, un giovane editorialista della rivista americanaù Horizon, intervistò l'allora 33enne regista Stanley Kubrick nel 1961. Il regista aveva appena concluso il lavoro su Spartacus e si stava preparando a girare Lolita. Ginna incontrò Kubrick nel suo modesto appartamento in stile spagnolo di Beverly Hills. Nonostante accendesse una sigaretta dopo l'altra appariva rilassato. Indossava una giacca sportiva grigia e pantaloni di velluto a coste. Kubrick parlò per ore del mestiere di regista, della sua vita fino a quel momento, come pure delle sue affinità con lo scrittore e drammaturgo austriaco Arthur Schnitzler (1862- 1931), la cui novella Traumnovelle (Doppio Sogno) sarebbe diventata la base per Eyes Wide Shut.

La trascrizione dell'intervista di Ginna con Kubrick raggiungeva le 26.000 parole. "Feci diversi tentativi per ridurla a una lunghezza pubblicabile con l'aiuto di Kubrick stesso," ha scritto Ginna, "ma lui diventò sempre più preso dal suo lavoro. Anche io mi dedicai al cinema e alla fine la rivista chiuse i battenti. L'intervista non fu mai pubblicata."

Per quasi quattro decenni, la trascrizione è rimasta a muffire nel deposito di Ginna nel New Hampshire. Fino a quando Ginna ne ha spedito una copia al Guardian. Non era solo la graffetta irrugginita, la carta giallastra e indebolita o l'odore di muffa che testimoniava l'autenticità dell'intervista, ma il tono generale delle domande e delle risposte.

Questi sono alcuni estratti di quella che Kubrick definì parlando con Ginna "la nostra eroica chiacchierata".

 

Che cosa l'ha spinta a fare il regista?
Sono nato a New York, dove mio padre era medico. I miei genitori volevano che seguissi anche io quella strada e che mi iscrivessi a medicina ma a scuola ero un vero disastro così quando presi il diploma non avevo il punteggio necessario per il college. Ma come quasi tute le cose belle che mi sono successe, per un puro colpo di fortuna, avevo un'amica alla rivista LOOK, una donna di nome Helen O'Brien, che era la responsabile del reparto fotografia. La conoscevo perché le avevo venduto due fotostorie che LOOK aveva pubblicato, scattate quando ero studente alle superiori. Mi chiese se volessi un lavoro - sai, come apprendista fotografo o roba simile. Mi offrirono un lavoro, per 50 dollari a settimana, come fotografo. Dopo circa sei mesi, fui assunto a tempo pieno nello staff di fotografi. Il mio stipendio più alto arrivava a 105 dollari a settimana ma ebbi l'occasione di viaggiare molto per il Paese e di andare perfino in Europa. Imparai moltissimo sulle persone e su come va il mondo. Poi realizzai un cortometraggio documentario dal titolo Day of the Fight [1951] su un pugile, Walter Cartier. Mi costò circa 3.900 dollari e lo vendetti alla RKO per 4.000. Così pensavo che ci fossero grosse opportunità nel realizzare documentari, tuttavia non ricavai un soldo da nessuno dei documentari che feci. Così realizzai un lungometraggio, Fear and Desire [1953], e dopo Il Bacio dell'Assassino [1955]. Il che mi portò a fare Rapina a Mano Armata [1956] con [il produttore] Jim Harris. Abbiamo fatto anche Orizzonti di Gloria e Lolita insieme.

Qual è la miglior preparazione per chi vuole fare il regista?
Guardare film. E' vero di ogni forma d'arte. La miglior preparazione per un pittore è di osservare i dipinti. Voglio dire, anche se guardi i film che fanno adesso puoi imparare qualcosa. So che una delle cose che mi dette sicurezza nelle mie capacità di regista fu di vedere un sacco di film di poco valore. Me ne stavo lì seduto nel cinema e pensavo, beh, non conosco assolutamente niente di come si fanno i film, però so che posso fare un film meglio di questo. E penso che la stessa cosa abbia spinto gente come Truffaut a fare film.

Pensa che un film come Lolita sarebbe stato possibile da realizzare per un regista americano 10 anni fa?
Beh, un sacco di gente pensa che non sia possibile neanche adesso.

E il pubblico sarebbe stato pronto per Lolita 10 anni fa? E un produttore sarebbe stato disposto a farlo?
Dieci anni fa non esistevano molte opportunità per trovare i finanziamenti per i film al di fuori del circuito dei grandi studios. Oggi c'è un numero praticamente illimitato di ottenere soldi, cosa che permette un controllo quasi totale da parte del regista, e queste possibilità includono finanziamenti provenienti da Paesi stranieri. Ma anche la maggior parte degli studios ormai fa contratti dello stesso tipo di quelli che la United Artists ha fatto per anni. Si limitano a mettere i soldi e a distribuire il film nelle sale e ti permettono di realizzarlo in libertà, fuori dagli stabilimenti e senza alcuna interferenza o supervisione.

Pensa che ci saranno pressioni per censurare Lolita o per bandirlo a causa della paura che il film, tratto da un romanzo controverso, possa offendere una grossa parte del pubblico?
Il successo di vendite del libro ha indicato che moltissimi lettori, molti di più di quanti sono i soliti appassionati, abbiano trovato la storia interessante e l'abbiano semplicemente accettata. Ha già venduto più di 3 milioni di copie in eizione economica. Credo che tutto il clamore sulla presunta pornografia e oscenità del progetto siano piuttosto sciocchi visto che il romanzo viene distribuito. La polizia non avrebbe permesso la sua diffusione se fosse stato davvero osceno o pornografico, anche se alla fine spetta al tribunale decidere se lo sia o meno.

Quali sono stati i principali motivi di attrazione per Lolita come soggetto per un film?
Sono convinto che il libro sia un capolavoro raro e unico perché è un capolavoro raro di comprensione dei personaggi e delle situazioni, e della vita stessa. Per me, Lolita è semplicemente una storia d'amore molto triste e tenera. Lionel Trilling, in un articolo scritto a proposito del libro, ha detto che Lolita era la prima grande storia d'amore del 20esimo secolo. Sosteneva che nelle grandi storie d'amore del passato, prendi per esempio Anna Karenina, Il Rosso e Il Nero, Romeo e Giulietta, gli innamorati - a causa del loro amore e attraverso quello stesso amore - si estraniavano completamente dalla società. Una delle caratteristiche meravigliose del romanzo è che scandalizza a causa della relazione tra i personaggi. Al lettore viene impedito di formulare un giudizio prematuro e eccessivamente solidale con la condizione di Humbert grazie allo scandalo che percepisce. E alla fine, quando ha letto tutto il libro e arriva all'ultima scena - il confronto tra Humber e Lolita quando lei ha 16 anni, è incinta e non ha più la bellezza che un tempo aveva agli occhi di Humbert e certo non è più una bambina - il lettore realizza senza alcun dubbio e con un potente effetto emotivo che egli è disinteressatamente e realmente innamorato della ragazza e che ha il cuore spezzato.

Possiamo far sì che lo spettatore medio consideri scandalosa la relazione di un uomo di 39 anni con una bambina, senza le poche ma sensazionali scene erotiche del libro?
Una delle cose meravigliose del modo in cui è scritto il libro - e di come noi abbiamo intenzione di sviluppare la storia - è che ha una superficie da commedia, umoristica e vitale. Solo gradualmente, mentre la storia va avanti, il lettore penetra dentro questa facciata e inizia a vedere la vera natura dei personaggi e capisce come la storia si rivela per quella che è. In questo senso, tra l'altro, trovo che sia un romanzo che ha molti collegamenti con l'opera di Arthur Schnitzler - questa facciata di gaiezza e vitalità, superficialità e lucentezza esteriore, attraverso cui si accede alla vera natura dei personaggi e delle situazioni raccontate.

Lei ha acquistato i diritti di Lolita così presto che penso la si possa considerare esente da ogni motivazione bassamente connessa agli incassi.
Acquistammo i diritti quando il libro non era neppure apparso nella lista dei libri più venduti del New York Times. Non osavamo nemmeno sognare l'enorme successo che il libro ha avuto. Sapevamo che sarebbe stato popolare, ma come potevamo sapere ce sarebbe diventato il libro numero uno nel mondo? Credo che Lolita sia probabimente la più grande attrazione per il botteghino nella storia del cinema.

Prima di Spartacus, i suoi film erano di dimensioni più ridotte. Quando ha accettato di dirigere Spartacus mi sono chiesto se avesse deciso di seguire la tendenza hollywoodiana a fare colossal?
Penso che Spartacus sia probabilmente parte della tendenza a voler combattere la televisione dando al pubblico qualcosa che la televisione non può dargli - ossia un gran numero di attori famosi e un grosso spettacolo. Ma quello che è una tendenza a Hollywood non necessariamente è una tendenza per me, che ho sempre approcciato qualunque mio film con la prospettiva di raccontare una storia.

Ha dichiarato che le piacciono molto le opere di Arthur Schnitzler e che è uno scrittore che ha catturato la sua attenzione.
Le sue opere sono secondo me capolavori di scrittura drammatica. Credo sia uno dei più sottovalutati scrittori del 20esimo secolo; è stato a lungo ignorato probabilmente perché non racconta di cose che hanno una spiccata importanza sociale. Io so solo che mi resta difficile trovare un altro scrittore che abbia compreso l'animo umano in modo più veritiero e che faccia rivelazioni più profonde delle sue riguardo a come le persone pensano, agiscono e, in definitiva, sono, e che abbia anche un punto di vista completamente consapevole - solidale anche se un po' cinico.

Schnitzler lascia molte cose non dette, implicite, ha un modo quasi circolare di arrivare al punto.
Secondo me tutti i grandi drammaturghi raggiungono i loro scopi in questo stile. Il modo più potente per far capire ad una platea il tuo punto di vista è di prenderla per i sentimenti, non per la mente. Se sei capace di comunicare il tuo pensiero, per te chiaro e filosofico, attraverso le emozioni, influenzerai sicuramente il pubblico, per lo meno per la durata del dramma teatrale o del film. E uno dei modi più efficaci per far cambiare opinione alla gente è di permettere loro di scoprire da soli ciò che intendi. Mi sembra che le opere in cui il significato sia troppo manifesto non siano mai così potenti ed evocative come quelle in cui il significato diventa chiaro a poco a poco e che regalano allo spettatore il brivido della scoperta. Certo, è un modo molto più pericoloso di scrivere, perché se il pubblico non riesce a scoprire ciò che vuoi dire, rischia di restare perplesso e disturbato alla fine del racconto. E' sempre una procedura più sicura urlare il tuo intento nell'ultima scena e dire al pubblico chiaramente quello che stavi cercando di ottenere - cosa che per altro viene fatta effettivamente da un sacco di gente.

Pensa di essere attratto dalle opere che hanno uno spiccato carattere di ambiguità?
Beh, questo è un punto interessante. Mi è sempre sembrato che nell'arte una ambiguità veritiera - se possiamo usare questa definizione paradossale - sia la forma più perfetta di espressione, per diversi motivi. Primo: a nessuno piace che gli vengano spiegate le cose; a nessuno piace che gli venga esplicitata la verità di ciò che sta accadendo. Poi, una cosa forse ancora più importante, nessuno sa del resto che cosa è vero e cosa sta succedendo. Ritengo che una ambiguità realmente perfetta possa significare molte cose, ciascuna delle quali potrebbe essere vera, e che allo stesso tempo faccia arrivare il pubblico, tramite le loro emozioni, verso dove vuoi condurlo. Così penso che, di concerto, una dichiarazione esplicita, chiara e letterale sia, in questo senso, falsa e che non abbia mai la potenza che è propria di una ambiguità perfetta.

Ha qualche preferenza per il lavoro con la macchina da presa, in termini ad esempio di quante macchine impiegare per una scena?
A volte basta una sola inquadratura. Ho una scena in Spartacus in cui Laurence Olivier, che interpreta Crasso, un generale romano, cerca di sedurre Tony Curtis, che è uno schiavo; si tratta di una scena parlata veramente spoglia. L'intera scena è ripresa in un'unica inquadratura dietro una tenta velata che copre la vasca da bagno, con i soggetti che occupano circa la metà dell'altezza dell'inquadratura. Facendo in questo modo, credo di ottenere l'effetto di qualcuno che spia dalla stanza accanto. La scena dura due o tre minuti e di solito si sarebbe girata usando un sacco di inquadrature differenti, ma quando l'ho girata ho usato questa unica inquadratura.

Ho letto una recensione molto interessante del libro di Mary McCarthy sul mestiere del critico, pubblicato di recente in Inghilterra, dove Angus Wilson, il recensore, puntualizzava che per l'autrice - e anche per il recensore stesso - il cinema, e non più il teatro, è il mezzo dell'intellettuale contemporaneo. Mi chiedo se anche lei è dello stesso parere.
Direi di sì. Mi piace parlare di questo. C'è una cosa che ricordo di aver letto in uno dei libri di Stanislavsky. Egli aveva dichiarato che un'interpretazione, oltre ad essere veritiera e accurata e credibile, doveva anche essere interessante. Alcune scene permettono molte chiavi interpretative ma in definitiva si deve scegliere quella che risulta più interessante perché il pubblico non reagirà in modo pienamente emotivo se si troverà annoiato e irrequieto. Un'eccessiva stimolazione e una finta eccitazione finiscono per farti perdere il pubblico. E' per questo che i grandi film e le grandi opere teatrali sono così rari. Perché, oltre a ottenere il suo scopo principale, l'autore deve anche seguire quel sottilissimo percorso che gli permetta di non impiegare emozioni esagerate e false e al contempo di evitare di perdere l'attenzione a causa della noia o del poco interesse. Le posso dire come mai io resto spesso deluso a teatro. Secondo me il teatro realistico è una noia. Penso che passare due ore e mezza in un teatro dove la comunicazione col pubblico passa attraverso il realismo e l'uso di parole e azioni in maniera completamente realistica sia in qualche modo una seccatura. I film possono creare realismo e toccare un maggior numero di argomenti in tempo molto minore.

La sua opinione del mondo, della vita, è ottimista?
Non mi prendo il disturbo di definirla. E' già abbastanza ingiusto cercare di farlo con quella di qualcun altro. Non voglio essere ugualmente ingiusto con me stesso. Penso che mi limiterò a seguirla.

Saranno i suoi film a parlare per lei?
Credo che dovrebbero. Una delle cose che ho sempre trovato estremamete difficili è, quando un film è finito, rispondere alla domanda di scrittori o spettatori che mi chiedono "Bene, che cosa voleva dire con questo film?". E senza voler essere troppo presuntuoso a usare questa similitudine, mi piace ricordare la risposta di T.S. Eliot quando qualcuno gli chiese la stessa cosa - credo a proposito di Terra Desolata. Eliot rispose "Volevo dire ciò che la poesia dice." Se avessi saputo dirlo in maniera diversa, l'avrei fatto.

Kubrick uncovered, di Robert Emmett Ginna
The Guardian, 16 Luglio 1999
Traduzione dall'inglese per ArchivioKubrick

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