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Gli appunti del regista: Stanley Kubrick realizzatore di film
di Stanley Kubrick

Con il suo antimilitarista Orizzonti di Gloria, Stanley Kubrick si è affermato come uno dei più intelligenti ed incisivi giovani registi di Hollywood. Da allora ha girato Spartacus, l'epico film con un cast d'eccezione in programmazione questa settimana a Londra, e adesso si trova in Inghilterra per la riduzione cinematografica di Lolita.

Sebbene soltanto 32enne, Kubrick è una delle grandi promesse dell'industria del cinema, così come dei cineasti. Kubrick reputa che il box-office e lo star system siano condizioni che dovrebbero essere entrambe domate da un buon regista: il fatto che il cinema sia un'industria fa parte della sua essenza come arte. I suoi precedenti film sono Fear and Desire, un oscuro, lunatico studio di quattro soldati intrappolati dietro le linee nemiche, e Rapina a Mano Armata un minuzioso racconto di una banda di rapinatori, che ha l'intensità di Rififi, e uno stile che ha portato i critici a parlare di Welles e Max Ophuls. Nel 1957 Orizzonti di Gloria ha consolidato il nome di Kubrick.

Questi pensieri, scritti di getto per The Observer nei ritagli di tempo, sono gli "Appunti del Regista" sul suo lavoro.


Non penso che scrittori o pittori o registi agiscano perché hanno qualcosa che vogliono in particolare dire. Hanno qualcosa che sentono dentro. E a loro piace esprimerla attraverso l'arte: sia sotto forma parole, o del profumo delle tempere, sia con la celluloide, le immagini fotografiche ed il lavorare con gli attori. Non penso che alcun vero artista sia mai stato ispirato da qualche preciso punto di vista, sebbene ne sia stato convinto.


La realizzazione di un film va affrontata più o meno nello stesso modo, a prescindere dal periodo storico in cui è ambientata la storia o dalle dimensioni del set. Devi immaginarti cosa accadrà in ogni scena e qual è il modo più interessante di girarla. Quando giravo Spartacus, sia che dovessi fare una scena con centinaia di persone sullo sfondo o prepararne una con dietro un muro, per prima cosa pensavo all'azione in primo piano, come se non ci fosse niente sul retro. Solo dopo aver effettuato le prove, iniziavamo a lavorare sullo sfondo.

Confesso di non aver mai pensato molto alle proporzioni dello schermo panoramico, passati i primi giorni. Sono fermamente convinto che il concetto di schermo panoramico venga sopravvalutato. E' soltanto un'altra forma da modellare: per alcune scene è una forma migliore di altre; per altre non fa poi una grande differenza. Invece di avere le persone distanti fra loro un paio di piedi, a volte te le trovi a quattro piedi, o devi alzare del materiale scenico in un angolo. E quando poi si arriva alla proiezione nelle sale, uno schermo grande diventa piccolo per le ultime file ed uno schermo normale diventa gigante per le prime.


Recentemente non ho trovato nei film che ho visto alcun'idea che mi abbia colpito in maniera particolarmente importante e che avesse a che fare con lo stile. Penso che preoccuparsi dell'originalità dello stile sia più o meno un lavoro infruttuoso. Una persona veramente originale con una mente altrettanto originale non sarà mai capace di lavorare con il vecchio stile e dunque farà semplicemente qualcosa di diverso. Gli altri faranno meglio a pensare allo stile come una sorta di tradizione classica e a provare a lavorare al suo interno.


Penso che la miglior trama sia quella che non sembra affatto una trama. Mi piace l'inizio lento, quello che si insinua sotto la pelle del pubblico e lo coinvolge in modo che possano apprezzare note di grazia e toni morbidi e non debbano sentirsi appesantiti dagli snodi della trama e dai punti di suspense.


Quando fai un film, sono necessari un po' di giorni soltanto per abituarti alla squadra di lavoro, perché è come spogliarsi davanti a cinquanta persone. Una volta che ti ci senti a tuo agio, la presenza anche di soltanto una persona estranea è discordante e tende a produrre disagio negli attori, e sicuramente in me.

Ti senti come se dovessi correre da quella persona che sta guardando a dirgli: "Ora guarda: questa scena viene appena dopo quest'altra ed abbiamo soltanto quest'altra ancora da girare: il motivo per cui lei sta urlando così tanto è che..." e così via.


Probabilmente il motivo per cui le persone trovano più difficile accettare la mancanza del lieto fine nei film rispetto ai drammi teatrali o ai romanzi è che un buon film ti impegna così tanto che alla fine trovi un finale triste quasi inammissibile. Ma questo effetto non è inevitabile e dipende dalla storia, poiché come esistono dei trucchi attraverso i quali il regista può portare il pubblico ad aspettarsi un lieto fine ugualmente si possono usare anche modi sottili per far capire al pubblico che il protagonista è condannato senza speranza e non ci sarà dunque un finale lieto.

I film polizieschi funzionano come le corride: esiste un rituale ed un modello soggiacente che fa capire che il criminale non ce la farà, così anche se la consapevolezza di questa conclusione non è sempre presente consciamente, resta comunque rannicchiata sul fondo della tua mente e ti prepara al fatto che sarà così. Questo tipo di finale è piĆ¹ facile da accettare.

Una cosa che mi ha sempre disturbato un po' è che il finale spesso lascia una sensazione di falsità. Questo vale in particolar modo per le storie che si riducono ad un solo punto di interesse, come per esempio sapere se la bomba ad orologeria scoppierà o meno nella valigia. Quando si lavora sui personaggi, si può preparare un finale non lieto per creare un senso di vita vera ma quello che si ottiene è spesso un finale finto, e questo è probabilmente ciò che disturba il pubblico: può percepire la gratuità del finale triste, fatto apposta per imitare la vita vera.

D'altra parte, quando si conclude la storia con il raggiungimento dello scopo da parte dei personaggi, ho sempre l'impressione che si sia lasciato qualcosa di incompleto, perché in finale sembra l'inizio per un'altra storia. Una delle cose che mi piacciono di più di John Ford sono i finali dimessi - anticlimax dopo anticlimax - e ti sembra di essere davanti alla vita vera e la accetti senza pensarci.


Generalmente si pensa che il modo per realizzare un film in completa autonomia, senza le preoccupazioni del box-office, sia di lasciar perdere le star in modo da contenere i costi. In realtà, il costo di un film ha solitamente poco a che vedere con la paga degli attori. Dipende soprattutto dal numero di giorni che impieghi per girare le scene: questo fattore è cruciale perché un film non può venire bene senza un sufficiente numero di giorni per girarlo in tranquillità.

Ci sono alcune storie che ti permettono di trattare tutto in modo spicciolo e diretto e completare il film in tre settimane. Ma questo non è il modo da tenere quando hai qualcosa da cui vuoi estrapolare il pieno potenziale. Perciò spesso non si guadagna niente a girare senza le star e a puntare dritti alla causa dell'arte. Soltanto usando le star e mettendo il film nel giro della distribuzione ufficiale puoi comprare anche il tempo necessario ad una buona realizzazione.


Spesso ho sentito dire che ci si chiede se lavorare in studio influenzi negativamente il realismo e la qualità artistica di un film. Personalmente ho sperimentato che lavorare in esterni o in luoghi reali risulta un'esperienza veramente distraente, che non ha la semplicità quasi classica di un film girato al chiuso dove il nero è nero come l'inchiostro, dove le luci vengono da un punto predefinito e dove si può raggiungere la giusta concentrazione senza doversi preoccupare di 500 persone trattenute dalla polizia o di un altro milione di distrazioni.

Penso che i vantaggi di usare location siano veramente sopravvalutati. Le location possono venirti in aiuto quando le i luoghi dell'azione e la loro atmosfera sono la cosa più importante che si deve notare nella scena. Invece, per un film psicologico, dove i protagonisti e le loro emozioni interiori sono la chiave di tutto, lo studio è il posto migliore per girare. Lavorare in un set permette agli attori di trovare meglio la concentrazione e li aiuta a tirare fuori le loro risorse migliori.

Mentre si stava realizzando Spartacus, parlai molto con Olivier e Ustinov a tal proposito, ed entrambi dissero che sentivano la loro energia disperdersi nello spazio quando lavoravano in esterni. Le loro menti non erano affinate e la loro concentrazione sembrava evaporare. Preferivano quella specie di raccoglimento che si ha in studio con le luci puntate contro e il set che ti circonda. Laddove all'esterno tutto sfuma e svanisce, negli interni c'è una sorta di concentrazione interiore dell'energia fisica.


La cosa importante in un film non è tanto arrivare al successo, quanto evitare i fallimenti, perché ogni flop limita le opportunità future di girare i film che vuoi.

Oggi sembra che le persone abbiano una grande difficoltà a decidere se i personaggi del film debbano essere buoni o cattivi - e questo vale soprattutto per chi i film li realizza. Sembra che si preoccupino di mettere un po' di bontà nel personaggio e poi subito dopo un po' di cattiveria, in modo che alla fine della storia si sia ottenuto un equilibrio perfetto.

In realtà penso che sia essenziale far capire dove un uomo buono sia anche cattivo, e mostrarlo nel film, oppure, se è forte, quali sono i momenti nella storia in cui è debole, e mostrarlo. E sono convinto che non bisogna mai cercare di spiegare come tale personaggio sia venuto ad essere quello che è o perché ha fatto quello che ha fatto.


Non ho idee fisse per quanto riguarda fare film all'interno di un particolare genere: western, film di guerra e così via. So che mi piacerebbe fare un film che possa dare un senso dei tempi, una storia contemporanea che alla fine dia il senso del tempo in cui si svolge, psicologicamente, sessualmente, politicamente, personalmente. Mi piacerebbe realizzarlo più di ogni altra cosa. E probabilmente sarà il film più difficile da girare.

Director's notes: Stanley Kubrick movie-maker, di Stanley Kubrick
The Observer Weekend Review, 4 Dicembre 1960
Traduzione dall'inglese per ArchivioKubrick di Winston Morbide

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