Eyes Wide Shut
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Frederic Raphael
Due estratti dal libro del cosceneggiatore di Eyes Wide Shut

Frederic Raphael è stato contattato da Stanley Kubrick per adattare la novella di Arthur Schnitzler Doppio Sogno che è alla base di Eyes Wide Shut. Subito dopo la morte del regista e sfruttando l'attesa dell'uscita americana del film, Raphael ha pubblicato il suo memoriale sulla collaborazione con Kubrick, suscitando le ire della famiglia Kubrick che ha visto tradito il rapporto di fiducia e discrezione che il regista instaurava coi suoi collaboratori.

Di Eyes Wide Open sono stati pubblicati ampi estratti sulle riviste di cinema e sui maggiori quotidiani di ogni paese, suscitando clamore e garantendo all'astuto scrittore un buon successo di vendite. Anche le reazioni indignate di Spielberg, Nicole Kidman, l'avvocato di Kubrick Louis Blau e altri conoscenti del regista hanno contribuito al "caso editoriale".

Di seguito sono riportati due articoli pubblicati sulla rivista francese Premiere e alcuni estratti che Il Corriere della Sera ha pubblicato a puntate nell'estate 1999.

 
Kubrick à brack
di Frederic Raphael

Eyes Wide Shut è uscito negli Stati Uniti il 16 luglio. Frederic Raphael è e resterà l'ultimo sceneggiatore di Stanley Kubrick. Nel New Yorker di Giugno [1999], raccontava le tappe della lambiccata lavorazione della sceneggiatura. Una specie di stuzzichino in attesa dell'uscita del suo libro, Eyes Wide Open, in cui Raphael ritrae i suoi anni di incontri sporadici e conversazioni telefoniche con regista, che permettono di apprendere un po', e contemporaneamente molto, sulla personalità del misterioso Mister K.

Come gli autisti delle limousine, gli sceneggiatori aspettano clienti di prestigio. Quando, nell'autunno del '94, il mio agente a Londra mi chiamò per dirmi che Stanley Kubrick voleva sapere se ero libero, annullai tutti i miei impegni, essendo Kubrick quasi il solo regista di lingua inglese del quale ammiro i film senza riserva (Lolita a parte). Da ragazzo ero rimasto colpito da Orizzonti di Gloria. I suoi capolavori seguenti, Dr. Stranamore e Barry Lyndon, erano il segno di un uomo che preferiva non ripetersi mai.

Dopo una lunga conversazione preliminare al telefono, Kubrick mi inviò la fotocopia grigia di un racconto che si svolgeva nella "Vienne de Habsburg". Il titolo e l'autore erano stati volutamente omessi, ma dopo la lettura, mi dissi che poteva essere un brano di Arthur Schnitzler o di Stefan Zweig. Se l'atemporalità della storia le dava fascino, io dubitavo che fosse l'ombra della sua eroticità ad aver sedotto Kubrick.

Era la storia di un certo dottor Fridolin e della sua devota sposa Albertine, felici genitori di una figlioletta. La loro tranquillità coniugale veniva minacciata da un ballo in maschera, dove sia l'uno che l'altra erano provocati. Tutto turbato per le confessioni di sua moglie sui fantasmi di un altro uomo, Fridolin si impegnava, come in un sogno, in una serie di disavventure sessuali, il cui apice era un'orgia durante la quale riusciva ad evitare di essere assassinato. Tra i ruoli secondari: un costumista un po' magnaccia e sua figlia, una ninfetta ritardata; un pianista, Nachtingall (usignolo in tedesco), che durante l'orgia recitava con gli occhi bendati; una prostituta affascinante, forse un po' sifilica; una baronessa che si sacrificava per Fridolin. L'influenza di Freud era evidente e, se il libro avesse avuto illustrazioni, Klimt o Schiele sarebbero stati perfetti.

Nella nostra conversazione telefonica seguente, appresi che Kubrick voleva trasferire l'azione dalla Vienna di fine secolo alla New York di oggi. Secondo me era possibile? Risposi che era possibile, ma non sono forse cambiate una moltitudine di cose dal 1900, a cominciare dalle relazioni uomo-donna? "Crede? - mi disse Kubrick - io non credo." Ci pensai un poco... "Ho cambiato idea, non lo credo più neanch'io."

Kubrick chiamò allora Ron Mardigian, il mio agente a casa di William Morris (a Beverly Hills). Un contratto fu rapidamente stilato. Gli sceneggiatori, come tutti gli artisti di Hollywood, sono quotati su un mercato quasi ufficiale. Kubrick non esitò e Mardigian non esagerò troppo. Un affare svelto e ben fatto. Poi fu la volta degli avvocati. Mentre si occupavano reciprocamente di dispute lucrative, Kubrick suggerì di incontrarci da lui, a Saint Albans, 20 miglia a nord di Londra. "Sarà meglio farlo al più presto", risposi. Il giorno stabilito, in novembre, scelsi nella mia biblioteca un esemplare dei miei libri che faceva al caso suo. Il mio ultimo romanzo si intitolava Doppia Vita. Il titolo, e il testo, erao così da avvertimento che io non ero che una semplice macchina al suo servizio.

Kubrick inviò un taxi a prendermi a mezzanotte nel mio appartamento di South Kensington. Una volta a Saint Albans, passammo davanti alla cattedrale e il suo tetto color miele. Essa stonava in questo decoro banalmente urbano, come un pensiero carino, dolce, in un paragrafo rozzo. Continuammo a camminare sulla strada di campagna e, dopo numerosi tornanti, girammo a sinistra e passammo un portale di ferro battuto. L'aspetto maestoso del luogo richiamava la casa di campagna dove Fridolin andava a gozzovigliare. Oltrepassammo una piccola casa vittoriana e prendemmo un sentiero privato che attraversava delle distese incolte delimitate da rustiche barriere bianche. Sotto i raggi del sole umido, il paesaggio era di una solenne malinconia autunnale. Girammo a sinistra, sorpassammo un cartello "proprietà privata" e procedemmo per una serie di cunette fino ad un nuovo portale, chiuso anche questo. L'autista scese e pigiò i pulsanti giusti, lo stesso al portale dopo, 60 metri più lontano.

La casa era piuttosto bassa, un grande casale vittoriano con la facciata a colonne. Il percorso per entrare cosparso di ghiaia era immenso e trasudava un'atmosfera di acre desolazione. Il luogo era così perfettamente protetto, ma quali ricchezze c'erano da proteggere? Tutto questo assomigliava più ad una gigantesca casa di campagna che ad una sontuosa dimora. Perpendicolare all'edificio principale c'era una grande stalla di mattoni dove evidentemente si trovavano degli uffici. Numerose macchine sporche erano parcheggiate sulla ghiaia.

La cosa più grande di lui è il suo nome

Mi viene ad aprire Kubrick in persona. Ha una salopette blu con dei bottoni neri. Potrebbe essere un piccolo impiegato delle ferrovie francesi. E' piuttosto piccolo e tarchiato, con la barba che confonde i suoi lineamenti più che definirli. Gli occhi neri sono ingranditi dai grossi occhiali. Le sue mani sono, con mio stupore, fine e bianche.

"E' arrivato", dice. Ha l'aria poco loquace e poco a proprio agio in società, anche se è lui che invita. Mi dico che qualcosa di traumatico deve avergli fatto perdere la fiducia in se stesso (non nelle sue competenze). Il suo nome è più grande di lui.

Mi accompagna in una lunga stanza dietro la casa, le cui finestre danno su un prato chiuso da un muro di cinta: il giardino è largo e profondo ma non lavorato in maniera speciale. Non c'è un pavone là fuori? Un cane nero dorme in una cesta davanti la portafinestra aperta. L'orizzonte è basso, non si scorge nessuna altra casa. Sulla destra una siepe blocca la vista. Mi invita a sedermi.

So che kubrick è stato un grande giocatore di scacchi. Un po' come fossi stato invitato dal Kasparov del cinema e fosse l'ora di prendere la scacchiera. Se devo rivelarmi all'altezza del mio avversario, è il momento: gli scacchi sono un gioco dal sadismo freddo e dalle esecuzioni pulite. Essendo lo scrittore, io ho i neri: tutto ciò che posso sperare è di difendermi con efficacia quando, come aspetto, sarò attaccato.

Come collega conosco poco di Kubrick. Ma come regista, è un grande e io ho voglia di andare alla fine di questa esperienza, qualunque sia la maniera per arrivarci. Per questo devo essere diretto ma pieno di tatto, con rispetto e indipendenza. Oggi, quasi tutti i contratti comportano delle clausole di rottura che permettono di indennizzare gli autori e rimandarli nell'anonimato. La mia impresa (e la mia sfida) è di rendermi indispensabile. Prendiamo ciascuno una seggiola dritta e ci mettiamo a parlare. Nel mio ricordo la conversazione si sviluppa così:

Io: Secondo me il principale... non ci sono problemi... ma, diciamo, la principale debolezza è che questa storia è buona, ma non troppo. Il suo sviluppo finale è un po' troppo debole. Si inizia con i genitori e la figlioletta e si finisce con gli stessi. E' carino, ma tutto avviene come un racconto poco chiaro che finirà in fanfara con un simpatico groviglio. Non c'è in verità un progresso, vero?
Kubrick: Che altro?
Io: Questi sogni - questo genere di trucchi, era nuovo ai tempi di Freud, non mi pare molto convincente. Io mi domando cosa Sigmund ne avrebbe pensato. Non molto immagino. Tutti questi dialoghi, questa precisione nei ricordi è così... letterario... L'autore deve aver letto Freud no?
Kubrick: Infatti, Freud e Arthur si conoscevano... maledizione!

Kubrick ha scosso la tavola del piatto con la mano. Pare veramente colpito dall'aver rivelato il nome di Schnitzler. Per quanto tempo sperava di tenere il segreto, e perché? Sospetto che questa reticenza sia più che un gioco. Fase di riscaldamento.

Come scoprii poco dopo, sottostimavo la sua ossessione del segreto. Ma in questa occasione, Kubrick non restò seccato a lungo. Mi guardò attraverso i suoi grandi occhiali come se avessi riportato una piccola vittoria. Stranamente, dopo che aveva perso questa prima pedina en passant, si mostrò più disteso.

Mi aspettavo di sentire le sue idee sul modo in cui voleva trasferire la storia a New York, ma evidentemente è per risolvere questo che sono stato ingaggiato. La sola idea che scaturisce dalla nostra prima conversazione è che deve accadere, al ballo mascherato, un incidente che obbligherà Fridolin - qualunque sia diventato il suo nome - ad esercitare le sue capacità mediche su un'invitata che avrà appena avuto relazioni sessuali clandestine con il padrone della casa al piano di sopra. Immagino una festa di Natale spettacolare in una dimora un po' come il Frick. Commetto l'errore di dire che il Frick è su Central Park East: Kubrick dice con un sogghigno "Central Park East è la Quinta Strada". Prende la mia pedina con pacatezza.

Parliamo, parliamo e avremmo parlato ancora, se non avessi guardato l'orologio e constatato che erano quasi le due e mezzo.

- Vuole mangiare qualche cosa? - domanda.
- Mi farebbe passare l'emicrania.
- Soffre di emicranie?
- Sì, se non mangio, e quando... devo esibirmi.
- Vediamo se c'è qualcosa da mangiare. E' questo che sta facendo? Esibirsi?

Passiamo da una stanza lunga in un'altra. Sulla tavola del refettorio, tra libri e scatole, c'è una zuppiera, del pollo freddo, dell'insalata con pezzettini di gruviera, della lattuga, del crescione, una salsa all'aceto di fragole.

- Che ne dice di questo? - domanda Kubrick.
- Mi pare molto buono.
- Allora mangiamo.

Era un po' come se ci fossero state altre stanze con dentro piatti magari più ricercati, ma io avevo già accettato la prima proposta che mi avevano fatto.

L'eroe si chiama Frederic o Fridolin?

Kubrick mi domandò: "Le piace il vino neozelandese?" Stava già aprendone una bottiglia. Una volta di più, fissava il mio sguardo sulle sue mani bianche e fini. Quando tirava su il cavatappi, mi ricordai della frase di Billy Wilder nella stessa situazione: "45 anni di masturbazione e ancora nessun muscolo nelle mani." Kubrick mi serve un bicchiere di vino bianco.

- 2 sterline e 25 la bottiglia. Come lo trova?

Io annuso e assaggio.

- Ha il sapore di un vino a 2.75.
- Ok, faccia come se fosse a casa sua. Cosa succede quando si va al primo piano?
- Lei ha appena fatto l'amore, sta avendo un overdose o qualcosa e Fridolin, qualunque sia il suo nome...
- Si chiamava Frederic in una versione che ho letto.
- Francois Truffaut diceva sempre che i commedianti non si dimenticano mai all'interno dei personaggi che portano il loro nome. Io sono uguale. Utilizzo Frederic solo in un quadro ironico o ancora Fred per un effetto comico.
- Come si chiama sua moglie, a proposito?
- Sylvia.
- Sylvia? Non è vero...
- Invece sì, è vero, io la chiamo scarabeo, ma è un'altra storia.
- Nella versione di cui ti parlavo prima, la donna si chiamava Sylvia - mi dice Kubrick.
- Era una versione di chi, e datata quando?
- Gli dia il nome che vuole. Anche a lei. Albertine è un po'...
- Proustiano?
- Sopra le righe. Allora cosa succede quando sale al primo piano? Perché non possiamo farli vedere far l'amore là di sopra?
- E' meglio riservare l'intensità erotica per l'altra festa, no?
- Ok. Forse non bisogna che succedano molte cose là di sopra. E' sufficiente che vivano le avventure che Arthur [Schnitzler] descrive e basta.
- Possono vivere anche questo - dico.
- Le piace l'idea della ragazza là di sopra?
- Mi piace perché può portare all'intrigo, bisognerebbe che sbucasse su qualche cosa.
- Forse.

Kubrick non è indeciso; è che tende a rimandare le decisioni. Forse, non sono il solo ad essere nervoso. Non appena faccio un commento, egli indietreggia, come se allontanasse le dita dal pezzo che intendeva muovere sulla scacchiera. Riflette, riflette ancora, poi parliamo e mangiamo e infine parliamo di nuovo.

Poco dopo ci portammo in una stanza che fu evidentemente una sala da biliardo. Sui muri c'erano ancora il segnapunti e le rastrelliere, ma nessun tavolo. Il suolo era ricoperto da giornali, che non riconoscevo. Quando Kubrick andò a fare pipì li guardai più da vicino: venivano da Djakarta.

Al suo ritorno gli domandai se era interessato anche all'Indonesia. Fece l'aria sorpresa. Indicai i giornali, lui esclamò: "Oh, non molto. Verifico solamente la grandezza della pubblicità per Full Metal Jacket. Per essere sicuro che siano del formato per il quale abbiamo pagato."

E qui gli dissi che anche io avrei fatto volentieri pipì. Mi condusse, attraverso corridoi diversi, scale e sottoscala, a quel genere di strutture che ci si aspetterebbe di trovare nei luoghi pubblici. Ci sono due bagni chiusi uno di fronte all'altro e una serie di orinatoi in fila. Fece cenno di andarsene, gli domandai: "Come la ritrovo?" "Segua il muro di sinistra e continui a camminare."
Questa casa costruita da un milionario sudafricano prima della guerra dà l'impressione che il suo vecchio proprietario abbia fatto fare i progetti badando solamente ai metri cubi. Non ha niente di casa sua. E' un'immensa conchiglia per una lumaca furba che ha deciso di cercarvi rifugio. La casa di Kubrick ha dei falsi tratti del castello di Barbablu. Quanti cadaveri di sceneggiatori nascosti tra queste mura?

Kubrick: Allora, come lavoriamo?
Io: Come vuole. Mi piacerebbe iniziare, vedendo cosa posso fare. Se non si è abbastanza attenti, quando si parla tanto, si finisce per perdersi.
Kubrick: Quindi propone di iniziare subito da solo?
Io: Non è che lo dico, è l'unico modo per me.
Kubrick: Quando può cominciare?
Io: Dal momento in cui ho visto il contratto.
Kubrick: Non può iniziare subito? Se le dico che può cominciare non ci saranno problemi col contratto.
Io: Io le credo, io le credo davvero.
Kubrick: Ma non scriverà niente...
Io: Rifletterò, si può sempre parlare.
Kubrick: Al telefono?
Io: Se vuole. Parlare non è lavorare. Lavorare è quando lei ha la sera delle pagine che non aveva la mattina.
Kubrick: Delle pagine. Mi ricorda qualcosa. Capisco che lei vuole lavorare da solo. Sa cosa le sto per chiedere, non è vero?
Io: Fin troppo bene.
Kubrick: Quindi quando avrà pronto un pezzo, trenta o quaranta pagine, me le invierà?
Io: Lei è il solo regista al mondo per il quale accetterei di farlo e comunque lo accetto con grande reticenza.
Kubrick: E' semplicemente che non voglio che lei scelga una linea che non voglio seguire, le farà perdere del tempo e...
Io: Delle pagine, Gesù.

Diario. Novembre '94

Abbiamo parlato, ma cosa abbiamo fatto concretamente? Ebbene, abbiamo messo a punto la nostra moda comunicativa. Come vede Stanley il suo film? Non può o non vuole dirlo? E poi, perché questo film? Non lo dice. Forse è un problema che deve risolvere, come un maestro di scacchi che si rende conto che la soluzione passa per il sacrificio della sua regina, ma non arriva a vedere né come né perché. Mi si mostra con l'aria più umana - più commerciale - che non avrei potuto sperare da un regista così grande. Ama le star, perché esse conoscono il loro mestiere e perché riempiono le sale. Il problema che ho con lui é che evita accuratamente di abbassare la guardia, anche se farlo potrebbe servire ai suoi interessi.

Durante una delle nostre conversazioni seguenti, segnalai a Kubrick quanto la storia di Schnitzler, Dream Story in inglese [La storia sognata in francese], fosse impregnata di cultura ebraica, essendo Schnitzler molto sensibile all'antisemitismo e ai metodi di reazione ad esso. Per esempio l'episodio dell'orgia: Fridolin è letteralmente smascherato e costretto a dire chi è, il che non fa che sottolineare il suo sentimento di differenza davanti a questi signori "gentili" che lo malmenano. Quindi provai a suggerire che la trasposizione a New York avrebbe offerto una possibilità divertente di utilizzare il tema, modernizzando il giudaismo di questa storia. Kubrick si oppose fermemente. Lui voleva che Fridolin fosse un gentile, alla Harrison Ford, ed era proibito ogni riferimento agli ebrei. Riteneva forse che tenere il tema sepolto lo rendesse più sottile? Il suo movente principale era, ne sono piuttosto certo, il desiderio di non perdere il pubblico.

Stanley mi spiegò che non vuole scherzi (come se avesse sentito dei rumori strani dalla cucina e mi avvertisse "Senza ali, ok?"). Dice di ammirare La casa dei giochi di David Mamet. Insinua che dovrei adattare i sottintesi anoressici di Mamet? Ciò che è più difficile circoscrivere nei grandi registi è quel qualcosa in cui, specificatamente, sono eccellenti. Per un regista di seconda o terza fascia, è facile. Essi sono dotati per trovare i film da realizzare. In K, non si trova nessun segno di pretesa salvo che nell'intensità delle sue angosce e nella diffidenza con la quale accoglie ognuna delle mie idee. La sua avversione per i caratteri dello spirito mi evita la parte più difficile - essere simpatici non è cosa da poco - ma al di fuori dell'erotismo, cosa si aspetta veramente da me? Il nostro soggetto è il desiderio. Rifiuta di occuparsi della meccanica copulazione - quello che Nabokov chiamava the porn-grapple [qualcosa come il porno-accalappiamento]. Al posto di questo vuole conoscere emozioni, cogliere l'impalpabile e palpare precisamente questo. Mi ricordo dei raggi di sole nel castello di Orizzonti di Gloria: Stanley sogna di catturare l'aria del mondo di Schnitzler e di farlo respirare, in dolcezza, ai nostri newyorkesi.

Decisi di battezzare Fridolin "Bill". Ci vuole in nome ordinario, vada per Bill. E Albertine si sarebbe chiamata Alice. Una volta solo davanti alla prima pagina bianca, cercai di immaginare il film che Kubrick avrebbe avuto voglia di fare. Avevo giocato allo scriba servile - come il giornalista hollywoodiano chiama tutti gli sceneggiatori - ma ero anche un fariseo nell'ombra: speravo di dimostrare a Kubrick che ero il migliore di tutti quelli che avrebbe potuto ingaggiare. Ugualmente volevo invitarlo a fare un film che mi sarebbe piaciuto vederlo fare.

Non avevamo discusso di che genere sarebbe stato il nostro dottore newyorkese, solo del fatto che non avrebbe dovuto essere (ostentatamente) ebreo. Gli detti Scheuer come cognome per convincermi della sua esistenza. A Ethical Culture, la mia prima scuola su Central Park West, avevo un compagno che si chiamava Jimmy Scheuer. Infatti sistemai Bill e Alice nell'appartamento dei genitori di Jimmy.

Come al solito cominciai dai titoli di testa - è un buon terreno di riscaldamento per un autore, non molto angosciante dato che, generalmente, tutto ciò che si propone viene rifiutato. Provai a suggerire che, mentre lo schermo era nero, si sentisse la voce di Bill Scheuer, giovane studente di medicina, che si preparava ad un esame recitando, in un mormorio, i nomi latini delle differenti parti del corpo femminile. Quando lo schermo iniziava a schiarirsi, si sarebbe scoperto l'appartamento di Central Park West. Bill era nel fumoir di suo padre, stava guardando le illustrazioni del suo manuale di anatomia femminile. Immaginai, intercalati in questa rappresentazione dell'interesse del giovane per la medicina, dei flash dei peep-show della 42esima strada.

Uno di questi flash - una donna misteriosa in reggicalze che si sta accarezzando - era molto eccitante. Questo sogno veniva interrotto dal padre di Bill, noto chirurgo, che gettava un'occhiata al figlio. Bill girava rapidamente la pagina del libro, come per nascondere l'immagine di questa donna che si masturba. Si percepiva qui l'ambigiutà tra la serietà dei suoi studi e i suoi desideri erotici frustrati. Scrissi tutto questo per convincermi dell'esistenza di Bill, pure per darmi la voglia di vivere la sua vita. Mi dissi che Stanley avrebbe apprezzato il fatto che sapevo quel che stavo facendo. Andai avanti rapidamente: soprattutto quando si scrivono i dialoghi, il risultato non è buono se si procede con lentezza.

Pagina 42

Da lì a quattro settimane, mi ritrovai alla 42esima pagina - molto spesso riscritta. Sono al momento in cui Bill va a visitare un paziente la cui figlia era innamorata di lui. Era un buon punto per ricominciare dopo Natale. Prendo coraggio e invio i fogli a Kubrick.

Kubrick: Freddy?
Io: Come va Stanley?
Kubrick: Ascolti ho letto e sono veramente entusiasta.
Io: Scusi?
Kubrick: Ho letto e sono veramente entusiasta.
Io: Bene, è... un sollievo.
Kubrick: Continua sempre a scrivere?
Io: Sa, c'è quella cosa che qui chiamano Natale.
Kubrick: Smette di lavorare per Natale?

Indubbiamente do alla frase di kubrick un senso profetico che stupirà perfino lui stesso. Dopo tutto, è il lavoro di un produttore-regista incoraggiare la propria troupe. Un generale può essere sincero se serve per i propri obiettivi ma il suo fine non è mai la sincerità. Come previsto, la mia sequenza dei titoli di testa è buttata alle ortiche e Stanley mette il suo veto su Scheuer. "Gli dia un nome che non lo identifica affatto, ok?" Kubrick punta al mito e vuole mettere nel personaggio a lui più straniero tutto ciò che a lui è più vicino. E Fridolin finisce per chiamarsi Harford, un nome che, divertente lo zampino di Freud, suona un po' come Hertfordshire, la contea dove vive Kubrick, e pure come Harrison Ford.

Kubrick: Buon anno.
Io: Anche a lei.
Kubrick: Ha visto il nuovo film di Woody Allen?
Io: Mariti e mogli? Sì, mi è piaciuto molto, a parte l'inizio. A lei?
Kubrick: Un gran bel film. Non ha niente da ridire?
Io: A proposito di cosa?
Kubrick: La grandezza dell'appartamento che occupano: si suppone che Guy sia un editore, o qualcosa del genere, e abitano in un appartamento gigantesco. Ha notato la profondità del corridoio? E' pratico per manovrare le cineprese, ma troppo costoso per un tipo che sgobba per una casa editrice. Noi non abbiamo interesse a fare questo genere di errori. Sa quanto guadagna un medico come Bill oggi a New York?
Io: No, è veramente importante? Circa 150.000 dollari l'anno?
Kubrick: Cercherò di accertarmene. Bisognerà riflettere su questa scena dell'orgia. Voglio dire cosa succede quaggiù in questa casa? Arthur non ci dice molto.

Avendo dato, sembra, a Stanley ciò che voleva, mi rimetto alla sceneggiatura con meno angoscia. Mi dico che questa orgia durante la quale Bill rischia di essere assassinato potrebbe permettere di lasciarsi andare verso quel genere di film eleganti-erotici, quei Blue Movies dei quali Kubrick parlava con Terry Southern, il co-sceneggiatore di Dr. Stranamore. Per la scena con la prostituta ho l'impressione che bisogna sbarazzarsi del tono sdolcinato di Schnitzler. A differenza della ragazza sensibile, nostalgica di Schnitzler, la mia puttana newyorkese è più intraprendente che timida, più esigente che sognatrice.

Kubrick: Freddy, posso parlare?
Io: Certamente.
Kubrick: Non mi piace molto la scena con la prostituta. Parla come Barbra Streisand, vedete? Questi dialoghi, genere bum-bum-bum, personalmente, non li... non li voglio. Perché non si limita a seguire Arthur?
Io: Si parla di una New York di oggi.
Kubrick: Altra cosa: questa scena dove Bill e l'altro tipo camminano per la strada. Dice che stanno discutendo, ma di cosa?
Io: Cosa importa? E' la fine della scena, loro sono lontani dalla cinepresa e le girano le spalle.
Kubrick: Ma di cosa parlano?
Io: Di cosa vorrebbe che parlassero? Sono due medici no? Di cosa discutono due dottori? Di golf, della borsa, dei seni delle infermiere del turno di notte... ehm... delle loro vacanze?
Kubrick: Due gentili, è questo?
Io: E' così che li ha voluti.
Kubrick: E noi, noi siamo due ebrei, cosa si sa di cosa discutono quelli là quando si trovano tra loro?
Io: Stanley andiamo, "quelli là"! Le ha già sentiti, al tavolo accanto, nella metro...
Kubrick: Forse, ma vi dirò qualcosa: sono sempre coscienti che tu sei là. L'Olocausto, cosa ne pensa?
Io: Che non abbiamo il tempo di sapere cosa ne penso.
Kubrick: Come soggetto per un film.
Io: E' stato già trattato no?
Kubrick: Non sapevo.
Io: Non ha visto quel film di Munk, ne ha fatto metà in effetti, The Passenger? [La Passeggera, 1963, film polacco di Andrzej Munk, morto durante le riprese, NdT]
Kubrick: Non era di Antonioni? Con Jack? [confusione comprensibile dato che il titolo inglese di Professione: reporter di Michelangelo Antonioni, 1975, è ugualmente The Passenger, NdT]
Io: Quello di Munk è antecedente.
Kubrick: Dunque, quale altro?
Io (sapendo diabolicamente dove vuole arrivare): Ebbene, Schindler's List no?
Kubrick: Pensa che parli dell'Olocausto?
Io: Sì, altrimenti di che cosa?
Kubrick: Parla piuttosto del successo, no? L'Olocausto sono sei milioni di morti. Schindler's List seicentomila superstiti.

La questione del dossier WM

Kubrick non sembra interessato dalle parole. Forse ammira la precisione dei miei dialoghi, ma non è ciò che voglia riprendere, la sua arte è quella di fare film. Un grande regista vuole diminuire tutto ciò che gli impedisce di utilizzare lo spazio - e il budget - disponibile per quello che egli considera come come punto focale della realizzazione. Kubrick lascia cio' che c'è di mutevole, o la psicologia, a discrezione dello spettatore.

Termino rendendomi conto che non vuole neppure che i personaggi abbiano delle qualità particolari: preferisce degli archetipi a personaggi con storie o sensibilità specifiche. Nessuna impronta dell'autore a parte la propria. Sono là per preparargli il terreno, prima che faccia il suo lavoro. Tutto ciò che è manifestatamente mio non ha nessuna possibilità di essere realizzato da lui.

La pazienza di Stanley Kubrick è tanto educata quanto implacabile. Non gli ho mai riconosciuto un limite. Lo sceneggiatore di un film è come un atleta che deve correre la prima parte di una gara. Lui si sforza mentre gli altri rimangono fermi domandandosi se vale la pena di togliersi la tuta. E io corro la mia gara, arrivo esaurito e mi si dice di ripartire immediatamente, ancora e ancora.

Verso la fine del '95, come è mia abitudine, invio tutta la prima scrittura agli uffici di William Morris, a Londra, domandandogli di farne delle copie e inviarne una a Stanley, una a me e una a Ron Mardigan in Caliornia. Poi partiamo, io e Sylvia, per trascorrere dieci giorni a Venezia e a Trieste. Al nostro ritorno trovo nella posta una copia spessa della sceneggiatura che veniva da William Morris. Con mia grande sorpresa, tutto era stato rilegato in una cartella di colore blu con un logo inciso sopra: WM.

All'interno, una piccola busta con il timbro di Saint Albans. Dentro, un semplice foglio giallo che mi annunciava che Stanley era furiosissimo dopo aver visto la sceneggiatura in una cartella William Morris: "Non credevo ai miei occhi - scrive - ho preferito metterla da parte piuttosto che leggerla con stato d'animo malevolo."

Gli rispondo:

Caro Stanley, abbiamo appena oltrepassato la porta, dopo qualche giorno in Italia, e abbiamo trovato la sua lettera. Accoglienza affascinante. Mi permetta di mettere le cose in chiaro: è mia abitudine, quando una sceneggiatura è terminata, inviarne una copia ai miei agenti a Londra, affinché la passino a Los Angeles... Avevo dimenticato queste cartelle sataniche... Nondimeno, non posso accettare di vedermi impedito d'inviare un testo al mio agente, come prova che ho onorato il nostro contratto. Noi tutti abbiamo le proprie manie, lei le sue, che in questo caso sono comprensibili e sovrane... Questo spiegato, io aspettavo con dolorosa impazienza il suo assenso sulla scrittura. Al contrario scopro che ho commesso un crimine, un po' come Uzza, folgorato da Dio nonostante avesse buone intenzioni. Ho sempre nutrito della compassione per Uzza e oggi mi rendo conto che sono Uzza.
[Durante il regno di David, Uzza, che trasportava l'arca, l'aveva tenuta per mano per evitare che cadesse: furioso, Dio lo aveva istantaneamente colpito a morte.]

La risposta di Stanley è veramente paziente e amichevole. Nega, con ragione, di avermi mai accusato di un crimine. I suoi timori che l'origine e la natura del suo progetto fossero resi noti erano fondati - me ne sono reso conto dopo aver visto il numero delle telefonate dei giornalisti. Nonostante io gli abbia dato la sicurezza che nessuno, oltre Morris, ha letto la scrittura - non ho mai avuto prove che queste persone sanno leggere - ho sottostimato la curiosità che tutto ciò che è legato a Kubrick è suscettibile di scatenare. Ha timore che abbia "compromesso la produzione e il casting del film", e mi spiega dopo, "anche se lei non comprende perché sia così", la posizione di produttore gli dà molti più diritti di quello di vedere le sue inquietudini spazzate via come "manie". E' disposto a dimenticare "questa storia". Il suo fax termina con "sinceramente". Aveva sempre concluso le sue lettere con "molto sinceramente".

Il fatto che Stanley abbia fatto riferimento alla sua posizione di produttore, mi invita ad aggiungere qualcosa alle mie rassicurazioni, per di più molto contrite: "Ron Mardigan, quell'obbrobrioso nome di agente lo ha portato bene, non ha mai tradito la mia fiducia. Mi piacerebbe poterne parlare dei produttori, cameramen e altri registi (mi hanno deprivato del nome sui titoli e anche dei soldi)... Secondo me la migliore frase della sua lettera è "sono totalmente disposto a dimenticare questa storia". Come può immaginare, lo sono anch'io".

Nella risposta Stanley afferma che leggerà le nuove pagine e rileggerà tutto con attenzione. Ma il miglior augurio della sua lettera è il ritorno alla formula "molto sinceramente".

A partire da qui progredimmo più velocemente. Avevo paura che la scrittura del film - che ancora non aveva tiltolo - durasse più della guerra di Troia, ma il numero delle scene buone saliva più velocemente. In agitazione per l'assenza del titolo, faxai un suggerimento: The Female Subject. Kubrick non si curò di riceverlo. Qualche giorno dopo, propose Eyes Wide Shut. La mia risposta fu che mi trattenevo dal rispondere. Dopotutto è il suo film.

Joe Mankiewicz aveva l'abitudine di dire che una buona sceneggiatura, in qualche modo, è già realizzata. Non è ciò che si augura Kubrick. Qualcosa di concluso lo obbligherebbe all'obbedienza. Infatti il suo solo lato ribelle è di rifiutarsi di fare ciò che gli si dice.

Il marchio K

La quarta o quinta versione della sceneggiatura si ritrova vergine di quasi tutta l'ambiguità che, per me, gli aveva dato vita. Mi trovo d'ora in avanti a riunire le pagine di un libro da colorare da solo: i contorni dei disegni sono seducenti, ma non ci sono più istruzioni. Mi ricordo che quando Henry James rinunciò finalmente a lavorare per il teatro uno dei suoi amici gli domandò perché i suoi spettacoli erano stati dei fiaschi. Erano troppo intellettuali? James ne dubitava: "Ho voluto farli talmente semplici!"

Se ho spesso augurato di recuperare la mia libertà, ne va del mi onore professionale non mostrarlo. E' la fine di giugno quando invio l'ultima versione per l'ultima volta. Aggiungo una lettera più ciarliera del solito e termino dicendo: "Conosce la storia di quest'uomo che ha chiesto, da un'eternità, un pantalone ad un sarto ebreo? Due mesi, tre mesi, sei mesi... Finisce per domandargli: ci sono voluti sei giorni al buon Dio per fare il mondo e a lei ci vogliono sei mesi per fare un pantalone? A questo il sarto risponde: allora guardi il mondo e dopo riguardi i pantaloni. Perché mi ricordo questa storia oggi? Molto sinceramente Freddie".

A metà dicembre ricevetti un fax di Stanley: aveva finito il suo lavoro sulla sceneggiatura e aveva scelto Tom Cruise e Nicole Kidman per interpretare la coppia in crisi. Mi sarà possibile di "passare da casa, uno di questi giorni, durante le vacanze", per cenare e passare insieme un'ora o due, prendere una tazza di tè, a sentire cosa lui aveva fatto della sceneggiatura? "Molto sinceramente, Stanley".

Una volta ancora, un taxi mi passò a prenderea mezzogiorno. Una volta ancora presi la strada tortuosa che portava alla proprietà dei Kubrick. Una volta a Saint Albans lessi la sua versione. Più parlavamo, più si trovavano punti a cui prestare attenzione. Alla fine gli assicuro che, globalmente, non ho alcuna riserva. Dopo tutto, ho già discusso tutto quanto in lungo e in largo. Mi chiede, quasi umilmente, se avrei voglia di lavorarci ancora. "Ma certo."

Sembrò sollevato e pieno di gratitudine. Io non mi sentii riconoscente, ma sollevato sì. Ritrovavo nella sua sceneggiatura la forma generale e i dettagli delle mie fatiche. Comprendo molto bene, e senza rancore, che aveva dovuto approriarsi della sceneggiatura, come fanno i cannibali con la forza dei loro nemici. Aveva bisogno di covincersi che quello che avrebbe filmato sarebbe stato compatibile con la sua personalità creativa. Doveva, per dire così, digerirlo.

Stanley uscì sullo spiazzo di fronte all'ingresso mentre il taxi che doveva riportarmi via si avvicinava.
Mi dice: "Ascolta, grazie... d'essere venuto. E per tutto quello che hai fatto."
"E tutto quello che farai", aggiungo.
"Ha funzionato, no?" e mette il suo braccio attorno alle mie spalle. Feci caso a come la piccola mano bianca luccicava alla luce del sole. Il mondo dello spettacolo è pieno di false effusioni e molte lasciano il segno dei denti. Stanley non era mai stato espansivo. Era la prima volta che faceva più che stringermi la mano rapidamente. C'era un calore sospettoso nella stretta, che la rendeva ancora più sincera - e più lusinghiera - di tutto quello che mi aveva potuto dire fino ad ora.
"Non avrei fallito per nulla al mondo, Stanley."
Salii sul taxi che mi porta via. Al primo cancello, mi accorsi che non avevo preso il mio testo. Scesi, corsi verso la casa e suonai alla porta. Lui aprì.
- Ho dimenticato lo scritto.
- Vado a cercarlo.
- Si potrebbe analizzare la cosa, se si vuole, ma non lo vogliamo, vero?
- No, non credo.
Sorrise e io ritornai al mio taxi. Salii. Agitai la mano dal finestrino, come se - ma non potrei mai esserne sicuro - fossimo amici intimi. Ho riscritto la sceneggiatura parecchie volte, gli ho parlato, sempre a lungo, al telefono, ma non l'ho mai più rivisto.

Premiere, Agosto-Settembre 1999
Traduzione dal francese per ArchivioKubrick
Frederic Raphael
 
Frederic Raphael ri-racconta Stanley Kubrick
di Frederic Raphael

Romanziere inglese, sceneggiatore americano, critico cinematografico, migliore amico del regista Stanley Kramer, (Matrimonio Reale, Indiscreto, Sharada...) per il quale ha sceneggiato Viaggio a Due con Audrey Hepburn e Albert Finney, quando passa a Parigi F.R. alloggia al Raphael. Questo autore molto colto divide il suo tempo tra l'Inghilterra, che non è il suo paese natale (è nato a Chigaco nel 1933), e la sua casa di Perigord Noir, vicino a Sarlat. E' lui che firma, insieme a S.K. la sceneggiatura di Eyes Wide Shut, adattato da un romanzo di Arthur Schnitzler.
Una collaborazione di due anni - dal '94 al '96 - resa inestimabile dalla morte del regista americano. Una collaborazione ritmata da incontri sporadici nell'enorme dimora inglese di Citizen K. e, soprattutto, da numerose conversazioni telefoniche che hanno fatto di Raphael un biografo privilegiato. una collaborazione dalla quale è nato un libro a tratti palpitante, a metà tra diario, dramma teatrale e sceneggiatura di un film, tanto ritratto non sempre generoso di S.K. (attraverso Kirk Douglas, Marlon Brano, passando per Gulio Cesare e Helmut Newton) quando descrizione poco gentile dei costumi hollywoodiani. Un'opera della quale ripubblichiamo delle parti con rinnovato piacere.

Lasciando South Kensington, ero romanziere inglese; arrivando a Saint Albans, avevo ragione di credere che ero sceneggiatore americano. Sono nato a Chicago e ho iniziato ad andare a scuola a New York. Il fatto che mi senta ringiovanito da quest'arte essenzialmente americana non è la minore delle ragioni per le quali io amo lavorare per il cinema. In cosa consiste esattamente questo genere di lavoro? Il cinema è tanto uno sport quanto un'arte. Occorre concentrazione e fiato (come nello sport) e delle buone capacità; è molto ludico: occorre un eccellente gioco di gambe e dei buoni riflessi. Gli spiriti seriosi considerano la leggerezza come qualcosa di blasfemo, ma la solennità non è sempre sinonimo di lavoro meritorio, non più dell'irriverenza che non è sinonimo di lavoro scherzoso. Succede ai chirurghi di scherzare davanti al lettino delle operazioni; questo chiacchierare non influenza né la sicurezza delle loro mani né la serietà di ciò che fanno.

Io volevo impressionare ed entusiasmare K.: dopo tutto, mi aveva scelto (e aveva preso il suo tempo per farlo) e volevo che avesse avuto ragione di farlo. Non conoscevo la sua reputazione sul lavoro; i libri sulle celebrità, soprattutto nel campo dello spettacolo, sono sia dei demolizioni in piena regola, sia delle agiografie sponsorizzate. K. era un grande cineasta e io volevo perseguire questo progetto fino alla fine, anche se non sapevo esattamente in cosa mi stavo lanciando. Anche se non potevo mai alzare la coppa (lui aveva già il ruolo di campione, se il film dovesse essere un giorno realizzato), forse sarei potuto andare in finale. Occorreva combinare tatto e audacia, rispetto e indipendenza. La stesura di una sceneggiatura si distingue dalla scrittura di un romanzo per il suo lato sociale. Come ha detto una volta il romanziere G. Fielding, "La scrittura, è una corsa di di topi durante la quale non s'incontrano mai gli altri topi". Al cinema si incontrano. E la lealtà non è che la loro qualità più apparente. Lo sceneggiatore può essere visto come una sorta di HAL che aspetta, senza speranza di essere graziato, che il capitano decida che può volare senza di lui. Ai giorni nostri tutti i contratti hanno la tendenza ad avere delle clausole di risoluzione, il punto a partire dal quale lo sceneggiatore può essere ringraziato. Il mio lavoro (e il mio sport), era di rendermi indispensabile.

27/10/94 Dal mio diario.

Kubrick è, comincio a capirlo, un cineasta che si ritrova ad essere un genio, piuttosto che un genio che si ritrova ad essere un cineasta. La difficoltà che avrò con lui sarà quella di indovinare che cosa egli vuole veramente da me. La sua difficoltà sarà pressappoco la stessa. Scoprirò senza dubbio che, come avviene spesso coi buoni registi, egli spera unicamente che io supplisca alle capacità che egli non ha. Una volta che io l'avrò fatto, gli sembrerà così poca cosa che si persuaderà facilmente di aver avuto bisogno di me non perché non avesse quelle capacità, ma perché era troppo occupato per utilizzarle. Sono stato scelto scelto per essere il suo sceneggiatore, ma il merito resterà senza dubbio il suo. E' stato un pomeriggio gradevole, in cui "il processo di collaborazione" è certamente cominciato, ma se non fosse stato un celebre regista, sarei stato attratto dallo splendore della sua residenza e dalla curiosità stancamente passiva dell'uomo? (...)

7/11/94 Dal mio diario.

Avevo avuto tre lunghe e faticose conversazioni telefoniche con S.K. All'inizio ero così deferente e modesto da sembrare un qualsiasi mercenario. Poi sono diventato meno inibito. Per quanto riguarda il cinema, io non dubito che egli sia un maestro. Tuttavia, non temo che, intellettualmente, mi sia inaccessibile; non sono neppure sicuro della grandezza della sua intelligenza. Perché è così prudente? Il sorriso è una perdita di controllo; egli lo rimpiazza con dei piccoli grugniti. Egli ascolta i miei discorsi e risponde, per così dire, restando zitto. Si aspetta che io reagisca rapidamente a quello che dice, ma con me prende il suo tempo. Cominicia a lasciarsi un po' andare, lo si capisce dal modo più libero con cui racconta gli aneddoti - soprattuto a proposito di Kirk Douglas - per rendere più piacevoli le nostre lunghissime conversazioni. E' al tempo stesso pieno di sdegno per Kirk (il cui nome può essere ricavato da quello di Kubrick lasciando da parte le lettere "cub" ["moccioso" in inglese]) e intimidito, in particolare per le sue competenze sessuali e per il suo appetito in questo campo. Mi ha raccontato che, sul set di Spartacus, Kirk - aspettando di venir chiamato - spiava il passaggio regolare delle donne che partecipavano alle visite guidate dello studio. Quando era attratto da una di queste, inviava O., l'impiegato che gli faceva da ruffiano, a parlarle. Chi avrebbe rifiutato l'occasione di incontrare la star? Quando chiamavano improvvisamente Kirk per il trucco (e faceva in modo che lo chiamassero sempre improvvisamente), egli deplorava questo richiamo del dovere, cominciava ad andarci, poi si voltava e chiedeva alla donna se le sarebbe piaciuto di andare nella sua roulotte a prendere una tazza di tè mentre sopportava il supplizio della cipria. Chi potrebbe dire quante di loro, invece di prendere il tè, si sono fatte prendere da Kirk?
Può essere che Kubrick abbia fatto di Kirk l'emblema del produttore insopportabile non solo perché egli si era fatto vedere tirannnico ma anche perché a volte aveva decantato di avere ragione. Secondo alcuni biografi di Kubrick, ci fu un periodo, prima che iniziassero a girare Orizzonti di Gloria, in cui Douglas era più intransigente del suo giovane regista (a quest'epoca Stanley non aveva ancora trent'anni). Leggendo l'ultima versione della sceneggiatura, Kirk fu allarmato e furioso di vedere che Stanley aveva deciso che i tre soldati condannati - scelti a caso per essere giustiziati su false accuse di codardia - sarebbero stati graziati all'ultimo momento. Si dice che Kirk protestò contro queste vili concessioni a delle considerazioni da botteghino. La fine originale, impietosa, fu ristabilita e grazie (forse) a Kirk, Orizzonti di Gloria è diventato quel capolavoro senza compromessi che tutti ammiriamo. Se Kubrick ha realmente fatto marcia indietro davanti alla versione tragica e spaventosa che sembra portare la sua impronta, io suppongo che lo abbia fatto non per delicatezza ma per la paura di un fallimento commerciale. Il solo punto comune a tutti i suoi film è il fascino per la morte violenta. (...)

9/11/94 Dal mio diario

Ci sono alcuni attori con i quali ha lavorato più di una volta - Kirk, Sellers, Hayden, Rossiter, Quigley - ma, per quello che so, con nessuna attrice. Non ha star femminili predilette e, nei suoi film, i ruoli femminili memorabili sono molto pochi, se ce ne sono. L'altro giorno ha rimarcato che io e lui eravamo nati troppo presto (per godere delle opportunità sessuali che si presentano ai nostri cadetti). Eppure Kirk è piu' vecchio di noi e Stanley non ha discusso la mia osservazione secondo la quale certe persone (come Fridolin [l'eroe della novella di Schnitzler, interpretato da Tom Cruise]) nascono con una membrana tra loro e la realtà gradevole che sembra accessibile ad altri. Trovarsi "dietro la cinepresa" è l'equivalente concreto di questa sensazione e forse il mezzo furtivo di guarigione: coloro che sono incapaci di vivere si augurano di avere del potere su coloro che vivono. (...)

11/11/94 Dal mio diario

Abbiamo trascorso più di dieci ora a parlare al telefono. Mi rendo conto che divento più aggressivo, cioè ironico, quando non sono d'accordo con lui. Ma io resto lucido: un uomo non è mai considerato un eroe dal suo valletto, ma ciò non fa del valleto un eroe. S.K. percepisce le ripugnanze e i dubbi con una specie di sensibilità impaziente, è troppo intelligente per non tenere conto delle mie esitazioni nel dargli ragione, e troppo indipendente per accoglierle con piacere. Ha deciso che la storia di Schnitzler, fuori moda e moto europea, può essere, e sarà, trasportata nell'america di oggi e resiste a tutte le domande a proposito della "pertinenza" della storia. (Perché gioco a fare il produttore e sollevo tali inquietudini?)
Egli - in termini che non userebbe mai - si dà le arie. E' soltanto guardando la storia da questo angolo che posso sbarazzarmi di ciò che di polveroso essa ha. Ma allora, come un uomo che si agita dormendo, S.K. si rende più o meno conto della realtà sociale degli Stati Uniti, che ha fatto sì che una coppia come F. e A. "divorziasse". Ma è diventato talmente europeo che il mito del matrimonio si è insinuato in lui. (Siamo forse, nel mondo del cinema, i due uomini sposati da più tempo). Non arriva tuttavia a capire che ogni mito durevole funziona in maniera quasi autonoma, e che il suo intrigo, quale sia la sua consistenza, è fortemente determinato: Edipo e Giocasta non risolveranno mai i loro problemi passando più tempo con i loro figli. Ciò di cui io dubito, ma che non mi impedisce di esplorare, è la possibilità che il mito di K. non resista se lo si guarda troppo da vicino. Ho bisogno che abbia dei difetti e per questo sondo le sue imperfezioni. Ho l'impressione di essere l'ennesima donna di Barbablu che può essere felice solo entrando nella stanza proibita del castello che determinerà la sua sfortuna.

Quando il contratto arrivò, mi sedetti al tavolo di cucina per leggerlo. Una delle prime clausole stipulava che mi era proibito di scrivere per qualcun altro nel periodo durante il quale io venivo pagato. Dato che fare occasionalmente una critica di un libro, o scrivere un articolo, è uno dei mezzi grazie al quale io rimango sano di spirito (perché indipendente) mentre scrivo un film, non ero pronto a fare una promessa di questo genere. Non avevo ancora visto il peggio: una delle clausole seguenti dichiarava che, in ciò che concerneva i titoli di testa, attribuiti all'uno o all'altro, la decisione di S.K. avrebbe prevalso nello stabilire chi avesse scritto quella frase, e chi avesse avuto quell'idea. Dico a Sylvia [la moglie di Raphael, ndt]: "Spiacente, ma non posso fare questo film".

F.R: (alla francese) Allo.
S.K.: Freddie? Qui Kubrick. Puoi parlare?
F.R.: Sicuramente.
S.K.: Qual è il problema?
F.R.: Ho appena ricevuto il contratto. Hai visto la clausola che dice che, in caso di disaccordo, S.K. sarà il solo giudice di chi ha scritto quella frase, chi ha avuto quell'idea, e che lo sceneggiatore promette di piegarsi a questa decisione? Sono spiacente ma non posso scrivere in queste condizioni. Voglio fare il film, ma non voglio essere uno schiavo pagato. E rifiuto di esserlo.
S.K.: Dove hai trovato questa clausola?
F.R.: Là dove tu l'hai fatta mettere.
S.K.: Qual è il problema esattamente? Perché dovrei aver voglia di dire che ho scritto qualcosa che non ho scritto? Perché ti avrei chiesto di lavorare con me su questo progetto? E' solo un mezzo veloce per...
F.R.: Stanley, conosci la favola della rana e dello scorpione?
S.K.: La rana e lo scorpione. Qual è?
F.R.: C'è uno scorpione che vuole attraversare il fiume.
S.K.: Ah! Sì.
F.R.: Allora chiede alla rana di farlo attraversare. E la rana dice: "Tu sei uno scorpione. Se ti faccio attraversare, tu sai cosa mi farai: quando staremo per arrivare, tu mi darai un pizzico, e io morirò."
S.K.: Qual è il rapporto?
F.R.: Tu non conosci la versione per il mondo dello spettacolo: il regista, che non sa nuotare, chiede allo sceneggiatore di aiutarlo ad attraversare. E lo sceneggiatore dice: "Quando staremo per arrivare sull'altra riva, tu mi farai un voltafaccia, e pretenderai di essere stato te ad aver fatto tutto". E il regista risponde: "Io so che questo accade con alcuni registi ma, con me, tu puoi fidarti. Ho bisogno solamente di attraversare". Allora i due attraversano, e il regista fa il voltafaccia e pretende di essere lui ad aver fatto tutto. Questa è una versione. Nella mia versione, lo sceneggiatore dice che è d'accordo e allora il regista sale sulle spalle e, a metà strada, lo sceneggiatore lo affoga nell'acqua e, mentre annega, il regista dice: "Perché hai fatto questo? Ti avevo promesso di essere onesto con te". E lo sceneggiatore risponde: "Lo so, ma si da il caso che io ho già letto la prima versione."
S.K.: Ma se manca questa clausola, come attribuire i titoli di testa?
F.R.: Esiste il sindacato degli autori. Io li pago una fortuna e non fanno nulla per me, tranne che un servizio di arbitraggio. Esattamente come per gli Stati Uniti.
S.K.: Se è questo quello che vuoi, d'accordo. A proposito della sceneggiatura ho riflettuto un po'.
F.R.: C'è un'altra cosa Stanley. Il contratto dice che mi è impedito di scrivere qualsiasi cosa nel periodo in cui lavoro alla sceneggiatura. Ciò implica che, durante questo periodo, anche se ti invio molte pagine, e aspetto la tua risposta, non posso ugualmente scrivere la critica di un libro.
S.K.: Perchè fai dei lavori come questi?
F.R.: Anche Sylvia mi ha posto questa domanda. E' per orgoglio, e perché questo mi cambia un po' le idee.
S.K.: E' proprio ciò che voglio evitare.
F.R.: Può essere che non scriva, che mi giri i pollici, ma non si può impedirmi di farlo.
S.K.: E' una clausola standard.
F.R.: Sono in errore se scrivo un piccolo articolo per un giornale?... Ascolta tu non avrai delle mezze misure da parte mia, ok? Ti prometto. Questo è tutto ciò che posso prometterti. Buon Dio, non lavorerò su un'altra sceneggiatura, ma... non sarò uno schiavo. Un servitore forse, non uno schiavo.
S.K.: Ok, possiamo parlare ora?
F.R.: Prego.

Un giorno, a Londra, ero in un taxi, e l'autista mi ha confessato che aveva in mente una sceneggiatura. Ho sorriso, e gli ho detto che non era il solo. Io stesso ero uno scrittore.
- Che genere scrive lei?
- Oh, molti. Romanzi, novelle, racconti di viaggio, film, soap, recensioni.
Mi ha guardato nello specchietto retrovisore.
- Sa cosa? Lasci stare le recensioni. (...)

La caratteristica di ogni successo è che conduce alla paura e all'isolamento? (O meglio, non è forse vero per gli Ebrei?) C'e' qualcosa di stranamente insoddisfacente nel fatto di affermarsi come regista, in particolare per qualcuno che vuole che lo si consideri intelligente? S.K. è stato malmenato per la sua reputazione personale. Se esiste un regista pensante, è proprio lui; da qui, forse, il suo terrore per il "concettuale": non si interessa all'ideologia e si ritiene dall'esporre una grande idea. Egli ha così paura della pretenziosità (e in parte è attratto da questa) che rifiuta di rivelare, forse anche a se stesso, il perché si lavora a quella storia in particolare. Vuole penetrare in un territorio sconosciuto, ma essere certo che troverà l'oro che cerca. Circonda il suo palazzo di un sistema di sicurezza che scoraggi il piu' possibile i malintenzionati. Per questo l'essenza della precauzione va di pari passo con l'attesa dell'intruso. Nel mito, Barbablu desidera che la sua donna entri nella stanza in cui gli è impedito di entrare. E' per questo che l'ha sposata. L'inatteso, lo sconcerto, questo rende S.K. nervoso, ma non per questo non lo ricerca con avidità . Non si può dargli ciò che lui aspetta, perché non è ciò che desidera. (...)

In un certo senso, S.K. è più preoccupato dal fatto che io finisca una sceneggiatura, che dal fatto che questa sia brillante o originale. (E' lui quello originale). Gli è indifferente che lo sorprenda, le sorprese, senza dubbio, lo sbalordimento, l'ingordigia lo deprimono (perché sono una sfida al suo desiderio di controllo assoluto). Mi ha ingaggiato per ragioni che non può dire. Se voglio scoprire la terra sconosciuta, che è tutto ciò che mi attira in questo viaggio, mi occorre trattare K. come guida alla quale è difficile affidarsi; non posso ignorare che contemporaneamente egli è il mio nemico e il mio compagno di strada. Come me non conosce la destinazione, ma deve far finta di conoscerla, per poter rimanere il capo. I registi sono una razza di cannibali. La loro natura è di fare la caccia a coloro la cui distruzione li eccita maggiormente (e gli dona il pasto più abbondante). (...)

14/11/94. Dal mio diario.

Ho la consolazione delle puttane: qualunque cosa io sia, lui ha scelto me; lui ha scelto me; lui ha scelto me. Quante ragioni mi danno la possibilità di essere felice? Il mio lavoro da sceneggiatore o il mio lavoro da scrittore l'ha indotto a chiamarmi? C'è qualcosa in me che non comprendo, forse lui l'ha riconosciuto, in me come in lui. Tutti e due siamo nati negli Stati Uniti, e sono ormai molti anni che viviamo in Inghilterra, anche se per motivi diversi. Abbiamo tutti e due nel profondo del nostro io, una certa immagine di New York. Ciò che ci rende diversi è che lui vive in Inghilterra senza che questa lo sappia; e senza sapere che è l'Inghilterra. E' il Mister X più famoso da quando Bismark è stato inserito nell'elite dei principi sconosciuti. Un uomo percorre Londra facendosi passare per Stanley, e non esiste nessun problema, perché nessuno sa a chi assomiglia veramente Stanley. La sua cosiddetta controfigura riesce ad avere biglietti per gli spettacoli e ad entrare in club privati servendosi semplicemente del suo nome. Un po' come l'eroe de la meprise di Nabokov; questi ha usurpato l'identità di un altro al quale sembra non assomigliare affatto.

(Nota aggiunta, Marzo 1999: Si dice che l'uomo che aveva preso l'identità di Stanley è morto 15 giorni prima di S.K. Deve esserci un mito per quell'uomo che sa di essere condannato a morire, perché non ha più l'ombra.)

Premiere, Settembre 1999
Traduzione dal francese per ArchivioKubrick
Frederic Raphael
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