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Le interviste di Rolling Stone: Stanley Kubrick
di Tim Cahill

Stanley Kubrick non entrò nell'ufficio con aria professionale, ma non vi entrò neanche con fare distratto. La verità, come usava ripetere lui stesso, ha tante facce e sarebbe più giusto dire che Stanley Kubrick entrò nella suite riservata ai dirigenti, ai Pinewood Studios, fuori Londra, con un fare anch'esso sfaccettato. Kubrick era piuttosto contento di aver trovato il posto dopo una ricerca di venti minuti appena e, allo stesso tempo, si scusava per il ritardo e pensava alla tortura alla quale sarebbe stato forse sottoposto. Stanley Kubrick infatti, me l'avevano detto, odiava le interviste.

E' difficile dire che cosa ti aspetti di un uomo di cui conosci solamente i film. Nei film di Kubrick si può percepire l'estrema precisione, il furore intellettuale, la sincera devozione. Del resto i suoi film non si prestano ad una facile analisi, la colpa è forse di alcuni libri - enfatici ed ampollosi - che sono stati scritti sulla sua arte. Prendiamo il brano seguente: "Mentre Kubrick sente intensamente che la potenza delle immagini fa dell'ambiguità una necessità ma anche una virtù, non condivide il mistico credo di Bazin il quale sostiene che i migliori filmmaker sono quelli che sacrificano le loro personali prospettive ad una "effimera cristallizzazione" della realtà, della cui presenza siamo incessantemente consapevoli."

Un'intervista condotta in questi termini sarebbe una presuntuosa fesseria. Kubrick dava l'impressione di essere una persona molto semplice. Indossava scarpe da tennis e una vecchia giacca di velluto a coste. Aveva una macchia d'inchiostro proprio sotto una tasca, là dove una biro doveva essersi dissanguata a morte. "Che posto è questo?", domandò Kubrick. "La chiamano suite dirigenziale", risposi. "Penso che vi ci mettano i pezzi grossi."

Kubrick diede uno sguardo veloce alle pareti rivestite di legno scuro, ai candelabri, ai divani ed alle sedie in pelle. "C'è un bagno qui?", domandò con una certa premura. "E' in fondo all'entrata", risposi.

Il regista si scusò e andò a cercare il bagno. Io ripassai i miei appunti. Kubrick era nato nel Bronx, nel 1928. Era uno studente che non si distingueva particolarmente dagli altri e le cui uniche passioni erano i tornei di scacchi e la fotografia. Dopo aver conseguito il diploma presso la Taft High School, all'età di diciassette anni, Stanley ottenne un lavoro prestigioso come fotografo per la rivista Look, lavoro che lasciò dopo quattro anni per realizzare il suo primo cortometraggio: Day of the Fight (1950), un documentario sul pugile, peso medio, Walter Cartier. Dopo il secondo documentario, The Flying Padre (1951), Kubrick si fece prestare 10.000 dollari da alcuni parenti per girare Fear and Desire (1953), il suo primo film, un film d'arte che successivamente lui stesso considerò "imbarazzante". Kubrick, la sua prima moglie e due amici costituivano tutto lo staff del film. Per necessità Kubrick fungeva da regista, cameraman, tecnico delle luci, truccatore, produttore, trovarobe e autista. Più tardi, nel corso della sua carriera, svolse ancora alcuni di questi ruoli, ma per ragioni diverse.

Il film che consacrò definitivamente Kubrick fu Orizzonti di Gloria(1957). Durante la lavorazione di questo film, Kubrick incontrò l'attrice Christiane Harlan, con la quale successivamente si sposò. Proprio nella scena finale, Christiane viene ripresa mentre canta una canzone; è una scena che mi ha commosso tutte e quattro le volte che ho visto il film.

Il film successivo fu Spartacus (1960), un lavoro che Kubrick considerò piuttosto deludente. Lo avevano chiamato a dirigere il film dopo che l'attore Kirk Douglas aveva litigato con il regista Anthony Mann. Kubrick non aveva alcun controllo sul copione, un copione che lui trovava imbottito di banale moralismo. Era abituato a fare i film a modo suo e quella esperienza lo indispettì profondamente. In seguito, Kubrick, non rinunciò più ad avere il totale controllo su tutti gli aspetti che concernono la realizzazione di un film.

E dopo Spartacus, Kubrick intraprese progetti inconsueti ed audaci. La semplice decisione di realizzare un film sulla Lolita di Nabokov (1961) era sufficiente per far infuriare una certa categoria di critici. Il Dottor Stranamore (1963), basato sul romanzo di Red Alert, fu concepito come un thriller la cui tensione derivava dall'eventualità di una guerra nucleare accidentale. Mentre lavorava sul testo, tuttavia, Kubrick scoprì che le scene che stava scrivendo erano sinistramente buffe, tetre. Era come scivolare su una buccia di banana ed annientare la razza umana. Stanley Kubrick fece ciò che gli dettava il suo gusto e la sua sensibilità: fece del Dr. Stranamore una black comedy. Il film è sempre stato considerato un vero capolavoro.

La maggior parte dei critici definirono allo stesso modo anche i due film successivi: 2001: Odissea nello Spazio (1968) e Arancia Meccanica (1971). Invece, almeno una parte della critica, considerò di minor qualità Barry Lyndon (1975) e Shining (1980), anche se è in corso una completa rivalutazione di questi due film. Del resto questo sembra essere l'atteggiamento tipico della critica nei confronti di Kubrick.

Stanley Kubrick si è trasferito in Inghilterra nel 1968. Attualmente vive fuori Londra con Christiane (ora pittrice di successo), tre cani da caccia e un mezzosangue che trovò mentre vagava sperduto lungo la strada. Ha tre figlie già grandi. Quelli che lo conoscono dicono che può essere scontroso ed esigente.

Ha acconsentito di venire a parlare del suo ultimo film, Full Metal Jacket, un film sulla guerra del Vietnam che Stanley Kubrick ha prodotto e diretto. Kubrick ha anche partecipato alla scrittura della sceneggiatura con Michael Herr, l'autore di Dispacci, e Gustav Hasford, autore di Nato per Uccidere, il romanzo da cui il film è tratto. Full Metal Jacket esce dopo sette anni di silenzio.

Lo scontroso ed esigente regista ritornò dal bagno, sembrava perplesso.

"Penso che lei abbia ragione", disse. "Penso che questo sia proprio un posto dove la gente soggiorna. Mi sono guardato un po' intorno, ho aperto una porta, e c'era lì un tipo seduto sull'orlo del letto."

"Chi era?", domandai.

"Non lo so", rispose Kubrick.

"Cosa ha detto?"

"Niente. Mi ha semplicemente guardato e io me ne sono andato." Vi fu un lungo silenzio durante il quale riflettemmo sull'inevitabile carattere ambiguo della realtà, in relazione a quel tipo seduto sul letto in fondo all'entrata. Quindi Stanley Kubrick cominciò l'intervista.

"Non mi verranno poste questioni concettuali, vero?"

Tutti i libri e buona parte degli articoli che ho letto su di lei lo sono.
Sì, ma non a causa mia.

Pensavo di dover fare proprio quel tipo di domande.
No, caspita, no. Questa è... [Kubrick si agitò] ...è la cosa che detesto di più.

Davvero? Ho trascritto queste domande in una forma che pensavo le potesse essere gradita. Sembrano i quesiti per gli esami finali di un corso di filosofia.
La verità è che queste domande mi hanno sempre infastidito, mi hanno sempre fatto sentire in trappola.

Domande del tipo [leggendo dagli appunti]: "Il suo primo film, Fear and Desire, del 1953, raccontava di un gruppo di soldati che si erano persi dietro le linee nemiche in una guerra senza nome; in Spartacus vi sono delle scene di battaglia; Orizzonti di Gloria è un atto d'accusa contro la guerra e, più precisamente, contro i generali che la conducono; Il Dottor Stranamore è una black comedy su una guerra nucleare che scoppia per caso. In che modo Full Metal Jacket completa la sua ricerca sul tema della guerra? E' questa un'interpretazione corretta?"
Questo genere di domande, appunto.

Lei trova che la vera questione che si nasconde dietro tutte queste parole sia "Che cosa vuol dire questo nuovo film?"
Esattamente. E a questo è quasi impossibile rispondere, specialmente quando uno si trova immerso dentro il film per così tanto tempo. Certi intervistatori chiedono un resoconto di cinque righe. Qualcosa che si possa leggere su una rivista. Vogliono sentirsi dire "Questa è una storia sulla duplice natura dell'uomo e sulla doppiezza, sulla malafede dei governi" [A dire il vero, una descrizione piuttosto buona del senso che pervade Full Metal Jacket]. Certe persone cercano di farlo - cercano di offrire un resoconto in cinque righe - ma se un film ha dei contenuti, se tratta di un tema complesso che richiede acutezza, perspicacia, qualunque cosa si dica non è mai onnicomprensiva, anzi è spesso sbagliata, in quanto necessariamente semplicistica: la verità ha troppe facce per essere contenuta in un resoconto di cinque righe. Se il risultato è buono, conta poco quello che si dice al riguardo. Non so. Forse è vanità, quest'idea che l'opera sia più grande della capacità che uno ha di descriverla. Certe persone sanno rilasciare interviste. Sono molto scaltre ed abilmente evadono queste odiose concettualizzazioni. Fellini è bravo; le sue interviste sono molto divertenti. Lui scherza e dice cose strampalate, cose che chiaramente non pensa. Voglio dire, rilascio delle interviste per promuovere il film e penso che queste sì, in qualche modo, lo sostengano, quindi non posso lamentarmi. Ma non è... è... è difficile.

Parliamo allora della musica di Full Metal Jacket. Mi hanno stupito alcune sue scelte, come quella di These Boots Are Made for Walkin' di Nancy Sinatra. Che cosa significa questa canzone?
Era la musica di quel periodo. L'offensiva del Tet è del 1968. Per essere precisi, non c'è più musica dopo il '68.

Non dico che sia anacronistica. E' soltanto che mi sembra più adeguata a quell'ambiente la musica di... di... Jimi Hendrix o Jim Morrison.
La musica in realtà veniva scelta in funzione della scena. Abbiamo consultato su Bilboard la classifica dei migliori 100 brani musicali, negli anni fra il 1962 e il 1968. Abbiamo cercato del materiale interessante che potesse andare bene con le immagini. Abbiamo provato tantissime canzoni. Alle volte la dinamica del suono era troppo ampia e non potevamo lavorare sul dialogo: in un certo istante la musica doveva scendere d'intensità e lasciare spazio alla voce e invece magari si sentiva soltanto il basso, cosicchè non poteva essere usata per il film. Perché? A lei non piace These Boots Are Made for Walkin'?

Per quanto riguarda la musica del film, devo dire che preferisco Wooly Bully di Sam the Sham, uno dei più grandi party record di tutti i tempi. Come pure Surfin Bird.
Un pezzo meraviglioso, non è vero?

Surfin Bird risuona dopo la battaglia, mentre i marines rientrano a bordo di un elicottero. La scena mi ha ricordato quella del Dr. Stranamore, in cui l'aeroplano fa rifornimento in volo per mezzo di un lungo e suggestivo tubo e la musica in sottofondo è quella di Try a Little Tenderness. Oppure anche il valzer cosmico di 2001, quando l'astronave lentamente volteggia nello spazio sulle note del Danubio blu. E adesso ci sono l'elicottero e il Bird.
La musica di quella scena mi piace perché suggerisce l'euforia del momento. E' l'euforia che vediamo comparire sulla faccia di un marine quando spara ad alcuni uomini che fuggono da una casa: il soldato americano non colpisce i primi quattro, segue il ritmo, e spara sui due uomini seguenti. E poi ecco quell'espressione di euforico piacere - quel piacere di cui abbiamo letto molte volte perché descritto in così tanti racconti di guerra. Il soldato ha quell'espressione sul volto e, improvvisamente, la musica inizia a suonare, i carri armati avanzano e i marines fanno piazza pulita. La scelta musicale non è certo stata una scelta arbitraria.

Si direbbe che lei in Full Metal Jacket abbia evitato la questione dell'uso di droga da parte dei marines.
Non mi sembrava rilevante. Indubbiamente i marines in Vietnam ne facevano uso. Però la questione droga sembra suggerire in qualche modo che tutti i marines fossero fuori controllo, mentre in realtà non lo erano. E' una piccola cosa, ma guardi le foto scattate durante la battaglia di Hue: si vedono i marines vestire giubbotti antiproiettile completamente abbottonati. Bene, tutti odiavano indossare quei giubbotti. Erano pesanti, caldissimi, talvolta i soldati li portavano senza abbottonarli. Ma le truppe disciplinate li indossavano e li portavano abbottonati.

La gente ha sempre lo sguardo puntato sui registi e in special modo su di lei, in considerazione non solo di un film, ma di un progetto artistico complessivo. Così non posso non notare una certa risonanza di Orizzonti di Gloria alla fine di Full Metal Jacket: una donna circondata da soldati nemici, lo strano ed ambiguo destino che lega insieme queste persone...
La risonanza è casuale. La scena è tratta direttamente dal libro di Gustav Hasford.

Così il suo scopo non era quello di richiamare l'attenzione dello spettatore su certe rassomiglianze...
Oh, Dio, no. Cerco di essere fedele al testo. Sa, c'è un'altra strana combinazione. Mentre Cowboy sta morendo, sullo sfondo c'è qualcosa che assomiglia molto al monolito di 2001. Ed è lì per puro caso. L'intero campo di battaglia è un'area circoscritta che esiste realmente. Una delle cose che ho tentato di fare è stata quella di dare allo spettatore una sensazione precisa del luogo in cui si svolgeva l'azione e di tutte le cose che si trovavano là. Una cosa non frequente nei film di guerra. Nel campo d'azione di piccoli reparti c'è veramente la storia dell'azione. E questo era qualcosa che noi volevamo rendere in modo estremamente chiaro: c'è il muretto, c'è l'edificio. E una volta entrati dentro, tutto sta esattamente nel posto dove si trova realmente. Non ci sono tagli, non ci sono imbrogli. Così si scopre dove dovrebbe rintanarsi il cecchino e dove si trovano i marines. Quando Cowboy viene colpito, viene portato al riparo dietro un muro - nel più logico rifugio. E là, sullo sfondo, c'era quella cosa, il monolito. Sono sicuro che alcuni penseranno che ci sia un riferimento voluto a 2001, ma, onestamente, la cosa si trovava là per caso.

Lei non penserà di cavarsela con questa giustificazione, vero?
[Ride] Lo so, è una strana coincidenza.

Dove sono state girate le scene?
Ci siamo serviti delle foto scattate a Hue nel 1968. E abbiamo trovato un'area che aveva la stessa architettura funzionalista degli anni '30. Certo, non tutto andava bene, ma alcuni edifici erano la copia esatta dell'area industriale alla periferia di Hue.

Dove si trovava?
Qui, vicino a Londra. Era di proprietà della British Gas e doveva essere demolita. Così ci hanno permesso di far saltare in aria gli edifici. Per una settimana intera i tecnici hanno posizionato le cariche esplosive. La domenica, tutti i dirigenti della British Gas hanno portato le loro famiglie ad assistere alla distruzione dell'area. E' stato uno spettacolo. Nei due mesi successivi abbiamo utilizzato la palla da demolizione, con il direttore artistico che suggeriva al manovratore quali buchi fare e in quali edifici.

Lavorare come direttore artistico con la palla da demolizione.
Non credo che nessun regista abbia mai potuto disporre di un set come quello. Oltrepassava ogni possibilità economica. Per produrre una simile quantità di detriti, si dovrebbe fare tutto con il gesso, e non la si riuscirebbe a mettere insieme neanche spendendo 80 milioni di dollari ed avendo cinque anni di tempo a disposizione. Né si potrebbe riprodurre tutto quel groviglio di ferri delle armature del cemento. E per formare i detriti bisognerebbe trovarne di veri e copiarli. E' l'unico modo. Per esempio, se volete dar forma ad un albero, dovete trovare un albero vero e copiarlo. Non si può "fare" un albero senza copiarne uno, perché ogni albero ha una forma sua propria inerente al modo stesso in cui ramifica. E ho scoperto che non si può dar forma neanche ad una roccia. L'ho scoperto mentre dirigevo Orizzonti di Gloria. Dovevamo fabbricare delle rocce, però anche la forma delle rocce ha una sua logica della quale non ci si rende conto fino a quando non si vede una roccia falsa. Ogni dettaglio sembra in ordine, ma c'è qualcosa che non va bene. Disponevamo di pietre vere. Abbiamo portato delle palme dalla Spagna e centomila piante tropicali in plastica da Hong Kong. Abbiamo lavorato sui dettagli, piccole cose che non si notano subito, ma servono a creare l'illusione. Tutto sommato, un tremendo lavoro per organizzare il set e sistemare tutti quei detriti.

Come sceglie il materiale su cui lavorare?
Leggo. Ordino libri dagli Stati Uniti. Entro nelle librerie, chiudo gli occhi e prendo libri dagli scaffali. Se dopo un po' il libro non mi piace non finisco di leggerlo. Ma mi piace rimanere sorpreso.

Full Metal Jacket è tratto dal libro Nato per Uccidere di Gustav Harsford.
E' un libro breve, scritto magnificamente, che, come il film, lascia fuori tutte quelle scene ritenute obbligatorie di costruzione del personaggio: dove il protagonista parla di suo padre alcolizzato, della sua ragazza - tutta quella robaccia che viene inserita in modo arbitrario nelle storia di guerra. Quello che mi piace nel non dover scrivere un soggetto originale - cosa che non sono poi neanche sicuro di saper fare - è che si ha quell'enorme vantaggio di poter leggere qualcosa per la prima volta. Dopo, non si ha mai più questa impressione. La prima volta si reagisce di fronte alla storia: è un po' come quando ci si innamora. Questa è la prima cosa; dopo di che è più un fatto di decifrazione: è un tentativo di strutturare l'opera in modo che risulti vera, in modo che non perda le idee, i contenuti, le emozioni che il libro ci dà. Poi bisogna condensare tutto questo in un film della durata più breve possibile. Si deve conservare il più a lungo possibile la propria disposizione emotiva, qualunque cosa sia quella che ci ha fatto innamorare della storia la prima volta. Una scena si giudica domandandosi: "Sto ancora reagendo a quello che c'è dentro?" E' un processo che è allo stesso tempo analitico ed emotivo; si cerca un equilibrio tra analisi ed emozione. Quasi mai ci si chiede: "Che cosa significa questa scena?" Piuttosto ci si domanda: "E' vero questo, o c'è qualcosa che appare falso?" O ancora: "E' interessante questa scena? Mi fa sentire come quando mi innamorai la prima volta che lessi la storia?" E' un processo intuitivo, come penso sia un processo intuitivo lo scrivere musica. Non si tratta di strutturare un argomento.

Una volta lei ha detto esattamente il contrario.
Sì?

Qualcuno le chiese se esisteva qualche analogia fra il gioco degli scacchi e fare un film. Lei rispose che in entrambi i casi il processo è analitico. Disse che dipendere dall'intuizione vuol dire perdere la partita.
Credo di averlo affermato in un altro senso. Quella parte del lavoro che consiste nel raccontare una storia va più o meno come ho detto prima. Nel lavoro vero e proprio di realizzazione del film invece l'analogia con il gioco degli scacchi diventa più pertinente. La situazione è simile a quella dei tornei di scacchi in cui, con l'orologio che avanza, si devono fare un certo numero di mosse in un certo tempo. Se non le si fa, si esce sconfitti, anche se si ha la regina in buona posizione. Il maestro di scacchi ha tre minuti a disposizione e dieci mosse da fare. Magari spende due minuti per una sola mossa, perché sa che se sbaglia quella mossa, perderà la partita; poi magari gioca le altre nove mosse in un solo minuto. E forse ha fatto proprio la cosa che doveva fare. Ebbene, quando si fa un film, si hanno sempre delle decisioni come questa da prendere. Si deve sempre mettere il tempo e i soldi contro la qualità e le idee.

Lei ha fama di voler controllare direttamente ogni aspetto del film, dall'inizio fino alla fine, prima e dopo. Com'è che le è stato riconosciuto un così grande potere di controllo sui suoi film?
Mi piacerebbe credere che ciò dipenda dal fatto che i miei film presentano una qualità che dura anche dopo la seconda, la terza o la quarta visione. In realtà ciò accade perché il mio budget è sempre entro limiti ragionevoli e i film rendono bene. L'unico film che non è andato bene dal punto di vista dello studio è Barry Lyndon. Così, visto che i miei film non sono tanto costosi, posso spendere un po' più di tempo per migliorarne la qualità.

Full Metal Jacket ha comunque richiesto molto tempo per essere realizzato.
Beh, abbiamo avuto un paio di seri inconvenienti. L'uomo che interpretava la parte dell'istruttore dei marines, Lee Ermey, ha avuto un grave incidente d'auto nel bel mezzo delle riprese. Verso l'una di notte è uscito di strada con la sua automobile. Si è fratturato tutte le costole e ha avuto gravi lesioni, tanto che probabilmente sarebbe morto se non fosse rimasto cosciente e non avesse fatto segnalazioni con i fari. Così un automobilista si è fermato. Tutto è successo in una località chiamata Epping Forest, un posto dove la polizia trova spesso dei cadaveri. Insomma non è un posto dove ci si ferma, si esce dalla propria auto, all'una e mezza di notte, perché si nota qualcuno che sta lampeggiando con i fari. Comunque, Lee non ha potuto girare per quattro mesi e mezzo.

Lui ha fatto realmente l'istruttore dei marines?
A Parris Island.

Quanta parte ha avuto quell'esperienza nella sua interpretazione?
Direi che un buon cinquanta per cento della sua parte, specialmente gli insulti, erano di Lee. Vede, per scegliere le reclute dei marines abbiamo intervistato centinaia di ragazzi. Li mettevamo in riga ed improvvisavamo un incontro con l'istruttore. Le aspiranti reclute non sapevano quello che l'istruttore avrebbe detto e noi potevamo osservare la loro reazione. Lee è arrivato con... non so, 150 pagine di insulti. Del tipo di quelli che si leggono sui muri: "Non mi piace il nome Lawrence, è un nome per finocchi e marinai." Se escludiamo gli insulti, in pratica ogni cosa seria che Lee diceva era fondamentalmente vera. Come ad esempio quando affermava: "Un fucile è soltanto un arnese, è il cuore duro che uccide"; lo sanno tutti che questo è vero. A meno di non vivere in un mondo senza violenza, non gli si può obiettare proprio nulla; eccezion fatta, forse, per una certa mancanza di delicatezza nel comportamento. Ma non credo che il corpo dei marines degli Stati Uniti d'America sia pieno di istruttori delicati e sensibili.

E' un tipo di istruttore diverso da quello interpretato da Lou Gosset in Ufficiale e Gentiluomo.
Penso che l'interpretazione di Lou Gosset sia stata meravigliosa, ma lui doveva seguire ciò che era detto nel racconto. Ovviamente il film vuole ingraziarsi il pubblico; molti film lo fanno. Si fa vedere che l'istruttore ha veramente un cuore d'oro - la scena obbligatoria di lui, seduto nel suo ufficio, con gli occhi lucidi di orgoglio per i ragazzi e così via. Penso che l'istruttore possa essere davvero orgoglioso, ma c'è il rischio di cadere in banali sentimentalismi.

Lei, allora, diffida dei sentimentalismi?
No, io non diffido dei sentimenti o delle emozioni. Ma la questione è: diamo al pubblico qualcosa che lo renda un po' più felice o gli diamo qualcosa che sia fedele alla storia che stiamo raccontando? La gente si comporta veramente così o quello è il modo in cui vorremmo che si comportasse? Voglio dire, il mondo non è quello che vediamo rappresentato nei film di Frank Capra. La gente certo ama quei film - sono fatti benissimo - ma non li definirei un'immagine realistica della vita. La domanda è sempre quella: "E' vero? E' interessante?" Preoccuparsi per quelle scene che si pensa facciano il film, spesso vuol dire soltanto assecondare una certa idea del pubblico. Alcuni film cercano di indovinare ciò che piace al pubblico, cercano di ingraziarsi il pubblico e questa è una cosa che non si dovrebbe fare. Certamente il pubblico si accalca per vedere film completamente irrealistici, ma penso che questo non significhi che il pubblico non possa essere attratto dalla realtà.

I libri che ho letto su di lei mi sembra suggeriscano che lei considera il montaggio il più importante aspetto dell'arte cinematografica.
Ci sono tre cose di uguale importanza: scrivere, sgobbare durante le riprese e montare.

Lei, citando Pudovkin, ha asserito che il montaggio è l'unica originale forma artistica del cinema.
Penso di sì. Tutto il resto proviene già da qualcos'altro. La sceneggiatura naturalmente è una forma di scrittura, la recitazione viene dal teatro e le immagini dalla fotografia. Ma il montaggio c'è solo nel film. Ci fa vedere qualcosa da differenti punti di vista, quasi simultaneamente, e questo crea un'esperienza del tutto nuova. Pudovkin ci fornisce un esempio: vediamo un uomo che sta appendendo un quadro ad una parete. Improvvisamente vediamo il suo piede che scivola, vediamo la sedia muoversi, vediamo la mano dell'uomo che ondeggia ed il quadro che cade. In questa seconda sequenza, l'uomo cade dalla sedia e noi lo vediamo in una maniera che solo il montaggio può rendere. Quelli che fanno spot pubblicitari l'hanno capito. Se lasciamo da parte il contenuto, alcuni dei più spettacolari esempi di arte cinematografica si trovano nei migliori spot pubblicitari.

Mi faccia un esempio.
La pubblicità della Michelob. Io sono un tifoso di football americano e posseggo le videocassette delle partite che mi hanno spedito, pubblicità inclusa. L'anno scorso la Michelob ha raccolto una serie di immagini - solo persone che si divertono...

La grande città di notte...
Il montaggio, la fotografia, rappresentano il miglior lavoro che io abbia mai visto. Ci si dimentica di quello che fanno - vendono birra - ed è una poesia in immagini. Incredibili tagli di 8 fotogrammi. Ci si accorge che in trenta secondi hanno creato l'impressione di qualcosa di molto complesso. Se tu volessi raccontare una storia, qualcosa che abbia un contenuto, usando questo genere di poesia visiva, potresti lavorare con soggetti molto complessi e sofisticati.

La gente spende milioni di dollari e mesi di lavoro per quei trenta secondi.
Per questo non è molto realistico. E suppongo che davvero non ci sia nulla che possa sostituire un momento fortemente drammatico, recitato bene. Però le storie che noi raccontiamo nei nostri film affondano le loro radici nel teatro. Persino i film di Woody Allen, che sono bellissimi, presentano una struttura piuttosto tradizionale. E' giusto l'anno della pubblicità della Michelob?

Penso di sì.
Perché qualche volta scopro che sto guardando una partita del 1984.

Mi sorprende che lei sia tifoso di football americano.
E perché?

Non si accorda con l'immagine che mi sono fatto di lei.
Che sarebbe...

Stanley Kubrick è un frate, un uomo che vive per il suo lavoro e per nient'altro, e certamente non per il football americano. E poi ci sono delle voci...
So che cosa dirà.

Vuole che le dica proprio tutto?
Spari pure!

Stanley Kubrick è un perfezionista. Si consuma in un'irragionevole apprensione per ogni aspetto dei film che realizza. Kubrick è un eremita, un esiliato, un nevrotico, che ha il terrore delle automobili e che non permette al suo autista di superare la velocità di 30 miglia all'ora.
Una parte del problema è che non posso dissipare le leggende che in questi anni sono state costruite sul mio conto. Qualcuno scrive qualcosa su di me, qualcosa di completamente falso, la cosa viene raccolta e ripetuta fino a quando la gente non incomincia a crederci. Per esempio ho letto che, quando guido, porto il casco dei giocatori di football americano.

Non permette al suo autista di superare le trenta miglia all'ora e porta il casco dei giocatori di football per ogni evenienza.
In realt` non ho un autista, guido una Porche 928S e qualche volta viaggio ad 80 o 90 miglia all'ora sull'autostrada.

Il suo montatore sostiene che lei stia ancora lavorando sui suoi vecchi film. Non si tratta per caso di mania di perfezionismo?
Vi spiegherò ciò che intendeva dire. Abbiamo scoperto che è stato perso il negativo del Dr. Stranamore. Ed è andata perduta anche la matrice magnetica della colonna sonora. Tutti i negativi che abbiamo trovato erano copie non autorizzate, malamente strappate. Abbiamo cercato per oltre un anno e mezzo. Alla fine, ho dovuto provare a ricostruire la pellicola da due positivi, tutti e due già parzialmente danneggiati. Se anche questi due fossero strappati, non si potrebbero più fare negativi.

Si considera un esiliato?
Essendo un regista devo vivere in un grande centro di produzione cinematografica dove si parli inglese. Questo limita la scelta a tre città: Los Angeles, New York e Londra. Mi piace New York, però come centro di produzione è inferiore a Londra. Hollywood è la migliore, ma lì non mi piace vivere. Si leggono libri o si vedono film che parlano di gente corrotta da Hollywood, ma non è questo. E' quel terribile senso di insicurezza. C'è troppa competitività. In confronto l'Inghilterra sembra molto diversa. Cerco di tenermi informato, leggo le riviste del settore, ma è meglio avere tutto su carta e non dover sentirselo dire in ogni posto in cui si va. Credo sia meglio fare il proprio lavoro ed isolarsi dalle manovre di basso livello.

Ho sentito dire che lei fa cento riprese per una scena.
Questo succede quando gli attori non sono preparati. Non si può recitare se non si conosce il copione. Se gli attori devono pensare alle parole, non possono lavorare sulle emozioni. Così ci si riduce a dover fare trenta riprese della stessa scena. E ancora si vede la concentrazione nei loro occhi; non sanno quello che devono dire. Così si gira e si gira ancora, nella speranza di poter ottenere qualcosa, a pezzi, tra le varie riprese. Poi, se l'attore è un ragazzo simpatico, va a casa e dice: "Stanley è un tale perfezionista, fa cento riprese per ogni scena." Così le mie trenta riprese diventano cento. E io mi guadagno questa reputazione. Se facessi cento riprese per ogni scena non finirei mai un film. Lee Ermey, per esempio, trascorreva ogni momento libero sul copione; lui conosceva sempre la sua parte a memoria. Credo che mediamente Lee avesse bisogno di otto o nove riprese. Qualche volta gli bastavano tre riprese. Semplicemente perché si preparava.

Si dice che lei volesse addirittura scegliere le sale cinematografiche in cui proiettare Full Metal Jacket. Non è forse questo un esempio di irragionevole apprensione?
Certa gente si stupisce che io mi preoccupi delle sale cinematografiche in cui vengono proiettati i miei film. Pensano che questa sia una forma maniacale di apprensione. Ma la Lucasfilms ha attivato un programma denominato Theater Alignment Program. Hanno controllato moltissime sale cinematografiche; i risultati sono stati pubblicati in un rapporto [del 1985] che effettivamente conferma tutti i nostri peggiori dubbi. Per esempio, il cinquanta per cento delle copie proiettate in un giorno è graffiato. Alcune copie sono strappate. Gli amplificatori audio non sono di buona qualità ed il sonoro è pessimo. Le luci non sono adeguate...

E' per questo che parecchi film visti recentemente sembrano troppo scuri? Perché non si vedono gli attori in ombra, quando è chiaro che il regista vuole che siano visti?
Ebbene, nelle sale cinematografiche si montano schermi più grandi di quelli adatti alla sorgente luminosa che è stata installata. Se si utilizza un proiettore da 2000 Watt, si può proiettare un film decente su uno schermo largo 20 piedi. Ma il film viene invece proiettato su uno schermo largo 40 piedi, installando il proiettore in modo da avere un angolo di proiezione più ampio. Così si ottiene una riduzione della luminosità del 200%, secondo la regola dell'inverso dei quadrati. Si vuole un'immagine più grande e così si ottiene un'immagine più scura. Molti proprietari di sale cinematografiche ignorano anche i più bassi livelli di qualità. Per esempio, ci sono delle sale in cui le bobine vengono proiettate in continuazione. E il foro di proiezione non viene mai ripulito. Dapprima c'è un piccolo granello di polvere poi, ogni volta che la pellicola scorre, il granello diventa più grande. Dopo qualche giorno la polvere incomincia a graffiare la pellicola. E la graffiatura si estende da una parte all'altra della pellicola. L'ha già sperimentato, ne sono sicuro.

Quella cosa che appare ed assomiglia ad un capello, che pende dal bordo superiore dell'immagine e si muove, contorcendosi, per tutta la durata del film?
Sì, questo è uno dei fenomeni. Il rapporto Lucas ha rilevato che dopo quindici giorni la maggior parte delle pellicole andrebbero buttate via. [Il rapporto denuncia che dopo diciassette giorni la maggior parte delle pellicole è danneggiata] Ora, è forse una preoccupazione esagerata se io voglio assicurarmi che alla presentazione per la stampa o in altre occasioni importanti tutto nella sala sia predisposto correttamente? Si manda qualcuno sul posto a controllare tre quattro giorni prima, qualcuno che si assicuri che non ci sia nulla di rotto. Questo significa solo fare una o due telefonate per sistemare le cose. Voglio dire, è questo un legittimo interesse o un'irragionevole apprensione?

La maggior parte della critica è all'inizio inspiegabilmente ostile verso i suoi film. Dopo di che si ha sempre una rivalutazione. Ai critici, sembra che lei piaccia di più in retrospettiva.
E' vero. Le prime recensioni di 2001: Odissea nello spazio furono non solo negative, ma addirittura offensive. Un importante critico cinematografico di Los Angeles bocciò Orizzonti di Gloria perché gli attori non parlavano con accento francese. Quando uscì Il Dottor Stranamore un giornale di New York titolò MOSCA NON POTEVA DANNEGGIARE DI PIU' L'AMERICA. Cose di questo tipo. Ma l'opinione dei critici nei riguardi dei miei film si è sempre riscattata grazie a quella che io chiamerei opinione critica successiva. E' per questo che io penso che il pubblico sia molto più affidabile dei critici, almeno inizialmente. Il pubblico non tende a portare con sé ad ogni film, tutte le opinioni critiche precedenti. E penso davvero che certi critici assistano alla proiezione dei miei film aspettandosi di vedere lo scorso film. Si aspettano di vedere qualcosa che poi non c'è. Immagino che debba essere come quando si gioca nel ruolo di battitore e ci si aspetta una palla forte e invece si riceve una palla liftata. Il battitore cerca di colpire e manca la palla. Egli pensa: "Merda, mi ha lanciato la palla sbagliata". Penso che per questo nascano le ostilità iniziali.

Beh, questo non facilita né il pubblico né i critici. Lei fa affermato di preferire un pubblico che reagisca in modo emotivo. Lei crea forti emozioni, ma non vuole darci risposte facili.
Perché non ho nessuna risposta facile.

The Rolling Stone Interview: Stanley Kubrick, di Tim Cahill
The Rolling Stone, 27 Agosto 1987
Traduzione dall'inglese per ArchivioKubrick di Alberto Baracco e Ines Vasiljevic

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