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Stanley Kubrick, da lontano
di Lloyd Grove

Pinewood Green, Inghilterra
La sala riunioni presso i Pinewood Studios è fastidiosamente barocca. Un rivestimento di pannelli con i bordi dorati copre ogni centimetro della parete. Ad una estremità un grosso magnate del cinema dagli occhi freddi, il compianto J. Arthur Rank, sogghigna da un ritratto dipinto. Il quadro è appeso sopra una credenza che regge un fornello elettrico. "IMPORTANTE! IL CAFFE' NON DEVE BOLLIRE" recita un cartellino sulla macchina, in cima alla quale due tazze contengono una brodaglia nera e fumante. All'altro capo della stanza, molto, molto distante, uno specchio filigranato. L'abisso nel mezzo è riempito da un tavolo e da venti seggiole imbottite. Davanti ad ognuna, un blocco verde mare. La luce naturale, diffusa attraverso le tende, entra dentro da una fila di finestre.

Il tempo trascorre lentamente qui, se non per nulla. Prodigiosi scoppi dalla macchina del caffè rompono occasionalmente il silenzio. In questo modo l'anarchia latente minaccia l'imperturbabile formalismo. Potrebbe essere una scena da un film di Stanley Kubrick.

Da lontano il regista di Full Metal Jacket, una elegante visione del caos durante la guerra del Vietnam, cammina dinoccolato attraverso un sistema di doppie porte che scattano avanti e indietro sui loro cardini fino a che non raggiungono un punto di equilibrio. Lascia cadere una cartella sul tavolo e prende il posto del presidente. Indossa una giacca di velluto a coste color ocra - imperturbabilmente trasandata, con una macchia blu scuro sul petto - pantaloni kaki che porta fino ai suoi polpacci, e scarpe da ginnastica indossate per scappare alla svelta (anche se, sembrerebbe, non a corsa). Capelli neri spuntano da una fronte stempiata. La barba grigiastra è simile alla vegetazione della giungla. Gli occhi, guardando con insistenza attravero il bordo metallico degli occhiali, osservano leggermente stupiti.

"E' stato sette anni fa?" chiede con un accenno di sorriso. Il suo ultimo film, The Shining uscì nel 1980. "Io non ricordo mai gli anni... non ricordo le date. Io di solito ho problemi nel ricordare l'età delle mie figlie. So che una ha circa 28 anni. Ma non sono sicuro. Sono 28? 27?"

Per Kubrick, che compirà 59 anni il mese prossimo, il tempo è infinitamente malleabile, anche se periodicamente consulta un orologio digitale. Uno dei suoi dichiarati obiettivi artistici è di far esplodere la struttura narrativa dei film. E' già riuscito a far esplodere la struttura narrativa della vita. In un punto nella conversazione di cinque ore, sembra ricordare che la seconda guerra mondiale è finita 20 anni fa. In un altro punto si riferisce sbagliando a Richard Nixon come presidente durante l'offensiva del Tet nei primi mesi del 1968, lo scenario del suo nuovo film.

"Era Johnson?" chiede ingenuamente.

La distribuzione di un film di Stanley Kubrick è sempre un evento.

Nelle sue lunghe assenze e sorprendenti riapparizioni - ha prodotto 12 film dal 1953 - richiama il monolite nero in 2001: Odissea nello Spazio, il suo classico sull'ascesa dell'uomo dall'età della scimmia fino al cosmo. E' "come se Stanley K. fosse lui stesso la lastra nera", ha scritto il critico David Denby nel numero attuale di Premiere, "una forza di intelligenza sovranaturale, che appare a grandi intervalli in mezzo a grida lanciate in alto, che dà al mondo un violento calcio verso il prossimo gradino della scala evolutiva".

Full Metal Jacket - basato su The Short Timers, un romanzo del 1979 di Gustav Hasford, ex Marine corrispondente di guerra, e girato, audacemente, tutto in Inghilterra - provocherà probabilmente la sua dose di grida.

"So che ci saranno un sacco di reazioni offese e oltraggiate da questo film", dice Michael Herr, autore delle acclamate memorie sul Vietnam, Dispacci, che ha passato un anno lavorando con Kubrick sulla sceneggiatura. "La sinistra politica lo chiamerà fascista, e la destra - beh, chi può dirlo? Non posso immaginare che cosa le donne penseranno di questo film."

Kubrick, come sempre, è restio a far luce sulla sua creazione da 17 milioni di dollari, il primo di un contratto di tre film con la Warner Bros. Il film, contemporaneamente viscerale e cerebrale, sembra concentrare i suoi interessi sulla distruzione della personalità umana (come in Arancia Meccanica, 1971), sui meccanismi d'inganno delle masse (Il Dottor Stranamore, 1964) e sulla infernale commedia della guerra (Orizzonti di Gloria, 1957).

"Abbiamo solo seguito quello che era", dice, incapace di frenare un sorriso, forse pensando a tutti gli appassionati di film che rimurgineranno su questo per anni.

"Di sicuro non penso che il film sia anti-americano", spiega. "Penso che provi a dare un senso alla guerra e alla gente, e al modo in cui esse sono state coinvolte emotivamente. Penso che, per ogni opera d'arte, se posso chiamarla così, che rimanga vicino alla verità e sia efficace, sia molto difficile scrivere una onesta spiegazione di che cosa tratti."

Accenna al blockbuster sul Vietnam dell'ultimo anno, con cui Full Metal Jacket è stato inevitabilmente paragonato. "Mi è piaciuto Platoon", dice. "E' molto differente. Io penso che Platoon cerchi di ingraziarsi il pubblico un po' di più. Però io ho abbastanza fiducia che una parte sufficiente del pubblico sia capace di apprezzare qualcosa che non lo fa. Almeno non ti sei annoiato. Non so se lei vai molto al cinema, ma quello è uno dei problemi più grossi."

Kubrick si concede alle interviste così di rado, e inoltre di solito sotto le più calibrate condizioni, che è divenuto il J. D. Salinger della mitologia del cinema. "O peggio ancora," si lamenta, "l'Howard Hughes."

"Non so che cosa hai letto di Stanley," dice Matthew Modine, che interpreta il personaggio principale del nuovo film, un cinico marine, corrispondente di guerra, soprannominato Soldato Joker, "ma l'impressione che avevo era che lui fosse questo pazzo lunatico spaventato dai germi e dagli aerei. Semplicemente, non è vero."

"Non è un recluso", afferma Herr. "Non va alle feste ma vede molta gente. E' un uomo molto sano."

"Si può pensare," dice Hasford, che ha anche lavorato sulla sceneggiatura, "che il pubblico goda nel considerarlo uno scienziato pazzo."

Nel caso uno non avesse ascoltato i bizzarri aneddoti, Kubrick è contento di ripeterli, benché con alcune alzate di spalle ben studiate.

"Voglio dire," afferma, "si presume che io indossi un casco da football e abbia un autista che è pagato per non guidare a più di 30 miglia orarie. In realtà ho una Porsche 928S, che guido da solo, come ogni altro sulla autostrada, a 70 o 80 miglia all'ora... Ho letto di avere un enorme recinto attorno a dove vivo. In realtà, ho un cancello per la macchina che ha giusto l'altezza per evitare che i cani corrano fuori sulla strada, da dove schiacci un bottone e il cancello si apre. Questo viene descritto come un cancello di sicurezza azionato elettronicamente. Una volta feci un intervista con un ragazzo e scrisse che avevo affittato un elicottero per spruzzare il mio giardino perché non mi piacciono le mosche. Beh, voglio dire, ci sono davvero poche mosche in Inghilterra."

E se si concede la paura del volo, puntualizza che "ci sono circa 50 milioni di altre persone che non amano volare. Ma con me, questo tende ad essere attribuito ad una qualche specie di singolare nevrosi e generalmente a una incomprensibile debolezza. In realtà, io ho avuto la licenza da pilota. Ero solito volare su un mono-motore fuori dall'aeroporto di Teterboro nel New Jersey." Per un momento riflette. "Non so perché la gente smette di fare quello che faceva. Alcune cose vengono fuori nella tua immaginazione e boom!" Colpisce il tavolo. "Chi può chiarire da dove vengono le fobie?"

Nato nel Bronx, un fatto ancora evidente nella sua parlata, al tempo stesso dura e accogliente, ha vissuto metà della sua vita in Inghilterra, in questo periodo in una tenuta di proprietà fuori Londra. Non è tornato alla sua terra di origine dal 1968. Si mantiene in contatto leggendo giornali e guardando cassette (spesso di vecchie partite di football, sua passione insieme agli scacchi), guardando film nella sua sala di proiezione, parlando al telefono e inviando messaggi via modem e fax. "Stanley", afferma Herr, "è un grande animale utilizzatore di utensili."

La casa mal progettata e le stalle riconvertite a camere di Kubrick - che lui divide con la sua terza moglie Christiane, con cani e gatti e con un seguito di assistenti in continuo avvicendamento - sono riempite di carte, libri e pizze di film. Kubrick monta personalmente ogni scena dei suoi film - ha impiegato 10 mesi su Full Metal Jacket - e mezza dozzina di stanze sono dedicate all'attrezzatura high-tech per il montaggio, comandata da un computer che non viene mai spento.

"Dicono che gli fa bene stare acceso, essere caldo", spiega. "Così è rimasto acceso fin da quando abbiamo cominciato il montaggio e lo è ancora. E' un po' come HAL", aggiunge, riferendosi al computer divenuto omicida quando si sentì minacciato di disconnessione in 2001.

Il suo è un mondo interamente auto-sufficiente, dal quale raramente si allontana. Con gli anni ha schierato una panoplia di spiegazioni che suonano ragionevoli. Viaggare senza scopo è "noioso", dice, l'equivalente di "vagare senza meta". Poi c'è il problema degli animali. "Una cosa è lasciare la tua casa," dice, "ma poi improvvisamente hai da lasciare i tuoi cani e gatti, e non c'è mai nessuno per prendersi cura di loro in modo appropriato. Così comincia a diventare seccante lasciare casa. E non ho alcun motivo particolare per farlo."

Londra è anche un buon posto per fare film, con attrezzature per la produzione superiori a quelle di New York e meno costose rispetto a quelle di Hollywood. E, dopo tutto, non importa veramente, di questi tempi, dove uno appende il suo cappello. "Se tu vivi, diciamo, a New York, prendi le immagini dei tuoi paraggi e dei tuoi amici, ma essenzialmente è tutta roba del villaggio elettronico e non fa poi differenza vivere in un posto o in un altro, con le città che si stanno decentralizzando, e i computer collegati coi modem e la tv."

Non cita l'argomento più persuasivo - che questo ambiente accuratamente composto è probabilmente l'unico in cui la sua immaginazione ossessiva potrebbe fiorire. L'immagine di Kubrick in trasferta evoca lo sventurato astronauta in 2001 che combatte con la macchina per il supporto vitale staccata quando si muove attraverso il vuoto.

Il regista che ha esplorato il genere horror in Shining, la satira rumorosa nel Dottor Stranamore e il dramma in costume in Barry Lyndon (1975), insiste nell'affermare che lui non ha mai inteso imprimere il suo marchio sui film sulla guerra nel Vietnam. Come sempre, sostiene, ha solo voluto raccontare una buona storia. "Ci sono certe cose in una storia di guerra che si prestano a essere riprese," dice "ma solo se la storia è buona. C'è questo qualcosa in ogni tipo di storia. C'è anche in una storia d'amore con Greta Garbo. Sia che sia una storia di guerra, o una storia d'amore, o una storia di animali... voglio dire dire, è la storia, non il soggetto."

Finendo Shining, basato su un romanzo di Stephen King, lanciò una missione di ricognizione letteraria. "Quando non ho una storia," dice "è come dire che un leone che si aggira nella prateria non sta cercando cibo. Io sono sempre alla ricerca." Nel 1982 capitò su The Short Timers, un romanzo in cui alcuni giovani marines sono formati dal campo di addestramento e poi stravolti dalla guerra - e ne fu immediatamente affascinato. Ci mise di più a decidere se il romanzo fosse filmabile. Il termine "full metal jacket" che non appare in nessuna parte nel libro, descrive il rivestimento di un tipo di proiettile.

"Questo libro," dice Kubrick, "era scritto in modo molto molto scarno, quasi poetico. C'era un enorme risparmio di dichiarazioni e Hasford tralascia tutte le scene di guerra obbligatorie che sono inserite solo per rendere sicuro che tu capisca i personaggi e farti desiderare che lui prosegua con la storia... Ho provato a mantenere questo approccio nel film. Io penso che come risultato, il film abbia un passo allarmante - si spera allarmante."

A cominciare dal 1983, si è immerso in innumerevoli film e documentari sul Vietnam, in giornali vietnamiti conservati su microfilm della biblioteca del Congresso e in centinaia di fotografie dell'epoca - mentre collaborava sulla sceneggiatura con Herr e Hasford e cercava le locations in Inghilterra. Trovò una base dell'esercito territoriale britannico da utilizzare come campo di addestramento di Parris Island, Sud Carolina, dove si svolgeva la bruciante sequenza di apertura del film. Per Da Nang, Phu Bai e la città imperiale di Hue, che fu devastata dal combattimento del Tet, ha trovato una fabbrica a gas abbandonata sulle rive del Tamigi presso Beckton, già destinata alla demolizione.

L'architettura intorno al posto isolato, circa un miglio quadrato, ricorda da vicino certi quartieri di Hue, intorno al 1968. Era "tutto in questo stile di funzionalismo industriale del 1930, con elementi modulari quadrati in calcestruzzo e grandi porte e finestre quadrate", racconta Kubrick. "E così abbiamo chiamato una squadra di demolizione laggiù per una settimana facendo saltare in aria edifici, e il direttore artistico trascorse circa sei settimane con un ragazzo con la macchina per le demolizioni, aprendo squarci negli angoli dei palazzi e ricavando delle rovine davvero interessanti - che nessuna somma di denaro avrebbe permesso di costruire."

La Hue di Kubrick venne completata con strutture a graticcio e altri rilievi architettonici, 200 palme importate dalla Spagna e centinaia di piante di plastica spedite per nave da Hong Kong. Rampicanti e alta erba gialla - "che sembrano gli stessi in tutto il mondo", nota - furono fortunatamente indigeni. Quattro carri M41 arrivarono per cortesia di un colonnello, fan di Kubrick, dell'esercito belga, e gli elicotteri storicamente appropriati S55 furono affittati e dipinti di verde Marine. Una raccolta di fucili, lancia granate M79 e mitragliatrici M60 furono ottenuti attraverso un rivenditore di armi autorizzato.

"Sembra assolutamente perfetto, credo", dice il regista della sua polverosa versione del Vietnam sul Tamigi. "Ci sarebbero potuti essere alcuni altri posti nel mondo come questo, ma io odiavo doverli cercare. Penso che anche se fossimo andati a Hue, non avremmo creato questo paesaggio. So che non avremmo potuto."

Kubrick ha abbandonato il realismo da documentario solo una volta nel film - per quelle file di spoglie latrine una di fronte all'altra nelle caserme presso il campo di addestramento. I veri bagni a Parris Island non hanno quella sinistra disposizione. "Ci siamo presi una specie di licenza poetica", dice. "Semplicemente ci è sembrato divertente e grottesco."

Ha assunto le comparse dalla locale comunità vietnamita e selezionato i ruoli principali prevalentemente da audizioni su videocassetta. Ha ricevuto circa 2000 nastri, incluso quello dell'allora sconosciuto Vincent D'Onofrio, la cui performance come soldato Pyle, una recluta debole di mente che si fonde spiritualmente con il suo M14, sta già venendo sponsorizzata per una nomination agli Oscar. Ma forse la sua scoperta più fortunata è stata il Sergente Artigliere in pensione Lee Ermey, un veterano del Vietnam e un ex istruttore che era giĆ  stato assunto da Kubrick come consigliere tecnico.

Dopo aver videoregistrato Ermey mentre insultava e intimidiva le future reclute-attori, un esercizio progettato per vedere chi avrebbe reagito in modi interessanti, Kubrick lo scelse per interpretare l'istruttore ferocemente efficiente, Sergente Artigliere Hartman. I dialoghi dell'istruttore, molti dei quali invenzione di Ermey, quasi tutti irriportabili, scoprono nuove frontiere delle oscenità inascoltabili.

"Era del tutto chiaro che Lee fosse un genio per questa parte", dice Kubrick di Ermey, che fino a quel momento aveva recitato solo in piccoli ruoli. "Ho sempre trovato che alcune persone sono in grado di recitare, e altre non possono, abbiano o meno avuto una formazione. E sospetto che essere un istruttore sia, in un certo senso, essere un attore. Perché loro dicono le stesse cose ogni otto settimane, ai nuovi ragazzi, come se le dicessero per la prima volta - e questo è recitare."

Kubrick riconosce che qualcuno nel Corpo dei Marines potrebbe essere non proprio esaltato dalla descrizione. "Penso che i dialoghi siano così buoni che la questione dovrebbe dire questo? E' giusto o sbagliato? finisce in secondo piano. La cosa più importante è che questo sia drammaticamente efficace e interessante, e che sia vero. E' contemporaneamente divertente e terrorizzante."

Per la musica, Kubrick rovistò nella classifica dei Top 100 dell'epoca - usando, per esempio, These Boots are Made for Walking di Nancy Sinatra per un pezzo in cui un ladro scappa attraverso il centro di Da Nang - e ingaggiò Abigail Mead, per la prima volta compositrice in un film, per fornire alcune atmosfere appropriatamente sinistre.

Il Vietnam, afferma Kubrick, è stata "probabilmente l'unica guerra dominata dai falchi intellettuali che manipolavano i fatti e perfezionavano la realtà, ingannando sia loro stessi che il pubblico." La storia indica che l'offensiva del Tet fu una sconfitta militare per i nord vietnamiti, ma anche una fondamentale vittoria psicologica. A questo riguardo, il regista cita uno dei suoi passaggi preferiti del film, pronunciato da un tenente dei marines mentre ragguaglia i corrispondenti di Stelle e Strisce: "I corrispondenti civili si cagano addosso, perfino Cronkite dice in TV che non ci sono più possibilità di vittoria."

"Probabilmente la guerra era sempre stata impossibile da vincere", dice Kubrick. "Sono sicuro che lo fosse. L'offensiva del Tet non era proprio il momento più adatto per accorgersene. Avrebbero potuto accorgersene un bel po' prima."

"Stanley è una persona estremamente difficile e ingegnosa," disse una volta lo scenografo Ken Adam del suo compito per il Dr. Stranamore. "Abbiamo sviluppato un rapporto estremamente serrato, e come risultato dovetti tirare avanti quasi completamente a tranquillanti."

"E' un maniaco del controllo," afferma Herr. "Ma è filosofico verso le cose che non può controllare."

La sua mania per il dettaglio è famosa. Una volta, durante la settimana di apertura di Arancia Meccanica ordinò che una sala a New York fosse ridipinta perché aveva sentito, a tremila miglia di distanza, che le pareti erano un po' troppo brillanti. I suoi set sono chiusi a chiunque, eccetto che al cast e agli addetti ai lavori. Raramente mostra i suoi film ai dirigenti degli studios se non a poche settimane dalla data di uscita. Non fa proiezioni per testare le reazioni del pubblico perché sono, secondo la sua visione, "irrilevanti e potenzialmente pericolose". E' scontato dire che lui ha l'ultima parola sul montaggio.

"Potrei avere scarsa introspezione," dice Kubrick quando gli si chiede se sia davvero un maniaco del controllo "ma non penso, no. Ovviamente, è nella natura di fare film provare a controllare un gran numero di persone. O controlli loro, o loro fanno quello che vogliono. Suppongo che qualcuno potrebbe convenire che, se sei capace di farlo e non ti senti a disagio quando lo fai, allora ne sei attratto. Ma questo non è certamente il motivo per cui realizzo film."

In ogni caso, dice Jan Harlan, da lungo tempo produttore esecutivo di Kubrick, il regista - è diventato "più profondo, più preciso" durante gli anni. "Stanley è una locomotiva", aggiunge Harlan. "Capace di trascinare tutto avanti con sé."

Nel mezzo dell'intervista, Kubrick chiede di vedere una trascrizione delle sue citazioni. Vuole essere sicuro di poter riconoscere la sua voce. Qualche giorno più tardi, dopo che 18 pagine di trascrizione vengono inviate a Londra, manda indietro 28 pagine di correzioni. Kubrick insiste durante una successiva discussione nell'affermare che non ha interesse ad apparire spontaneo in un'intervista e che gli sembra di essere inarticolato - che questo non è il modo in cui parla. (una parte di questi suggerimenti sono stati inseriti in questo pezzo.)

E' anche sensibile ai commenti sul fatto che gira con interminabili riprese.

"Penso questo riguardo alle riprese", spiega. "Un attore deve conoscere le sue battute prima che possa iniziare a recitare. Non puoi pensare le tue battute e intanto recitare. Alcuni attori - e questi sono di solito quelli che tornano a Los Angeles e rilasciano interviste su quanto io sia perfezionista e sul fatto che abbiano dovuto fare una scena 70 o 80 volte - non vanno a casa dopo le riprese per studiare le loro battute e andare a letto. Loro escono, rimangono fuori fino a tardi e ritornano la mattina dopo impreparati..."

"Così puoi ragionare con loro o spiegare come stiano danneggiando se stessi, o puoi gridare contro di loro. Alcuni reagiscono, altri no, e non c'è un gran numero di cose che puoi fare, salvo non lavorare di nuovo insieme a loro."

"E' molto gentile, una delle persone più gentili che abbia mai conosciuto", dice Ermey. "Ma è in una posizione dove non può mostrare quel lato di se stesso. Non puoi essere Mr. Simpatia e vincere premi."

"E' probabilmente la persona più profonda che abbia mai incontrato", afferma Modine. "E' dura per lui, che viene dal Bronx, con quella mentalità di quartiere, e lui prova a mascherarla. Appena sotto quella apparenza, è un uomo molto amabile, coscienzioso, che non ama far male, che non ama vedere esseri umani o animali soffrire. Fui veramente sorpreso dall'uomo."

In Full Metal Jacket il soldato Joker interpretato da Modine, sfoggiando un simbolo di pace sulla sua uniforme e le parole "Nato per uccidere" sul suo elmetto, definisce questa condizione come la "dualità dell'essere umano."

"Un concetto Jungiano, signore!" spiega ad un ufficiale che lo interroga.

Nell'ingegnosa classe media del quartiere del Bronx dove è cresciuto, figlio di un dottore, Kubrick era considerato leggermente bohemien - un cortese, garbato giovane con uno sguardo distante negli occhi. "Come se fosse da qualche altra parte", ricorda uno dei suoi coetanei della William Howard Taft High School, dove i voti di Kubrick erano così scarsi che non poté andare al college. Invece, a 17 anni, divenne un fotografo per la rivista Look. Se ne andò a 21 anni per girare cortometraggi documentaristici.

Il vecchio quartiere "non c'è più", afferma Kubrick. "Penso che il luogo dove sono cresciuto sia tuttora là, è soltanto differente." Come può saperlo? "Perché la gente mi racconta. E ho visto dei documentari." E poi ne descrive uno in cui i cecchini prendono a sparare a casaccio contro dei pompieri.

"Il mio tipo di visione fantastica del cinema è nato al Museo di Arte Moderna, quando guardavo i film di Stroheim e D.W. Griffith e Eisenstein", ricorda. "Ero impressionato da questi fantastici film. Non ero mai colpito nel senso di dire Gesù, sto per andare a Hollywood a fare cinquemila dollari a settimana e vivere in un casa fantastica e avere macchine sportive. Mi ero realmente innamorato di questi film. Ero solito vedere ogni cosa al cinema RKO della catena Loew, ma ricordo che all'epoca, nonostante non conoscessi nulla riguardo al cinema, avevo visto così tanti film fatti male che mi dissi Anche se non conosco nulla, non posso credere di non poter fare un film che sia almeno buono come questo. Ecco perché ho incominciato e perché ci ho provato."

Aveva 25 anni quando prese a prestito novemila dollari da parenti e amici per girare Fear and Desire, il suo primo lungometraggio. Realizzò il secondo Il Bacio dell'Assassino, due anni piu' tardi. "Ero costretto a fare tutto, letteralmente ogni cosa", dice. "Dal fare il direttore della fotografia, andare e comprare la pellicola, mantenere la contabilità, fare il montatore, sincronizzare i passi, creare gli effetti sonori, fino ad andare in laboratorio."

Da là andò a Hollywood, dove trovò "un generale senso di insicurezza e una sottile malvolenza... Quell'effetto immediato su di te non è particolarmente utile quando si vuole fare un film. E' molto facile essere allontanato dal tuo equilibrio."

Girò Orizzonti di gloria, Spartacus e Lolita in rapida successione. Altrettanto rapidamente ha rinnegato Spartacus. "Non so cosa dire alla gente che mi dice Ho davvero amato Spartacus. Penso sia il mio film preferito", ammette Kubrick riguardo all'unico film sul quale era solo una mano presa in affitto.

Da questo momento in poi, alcuni critici avevano notato uno strano distacco nei suoi film, una osservazione che lo lascia sconcertato. "Non ho mai pensato che fosse un commento particolarmente valido", dice. "Si tratta piuttosto del fatto che quei segnali rassicuranti che molti film si preoccupano di dare, ma che sono solitamente falsi, non si trovano nei miei film."

Kubrick, in ogni caso, non ha grande considerazione per i critici.

"Non mi piacerebbe dover scrivere un commento ad un film che mi è piaciuto, perché penso che i film siano così sfuggenti e che le cose che i critici sono costretti a fare - cioè fare connessioni e concettualizzazioni del film stesso - sembrano nella migliore delle ipotesi riduttive e, nella peggiore, abbastanza irrilevanti rispetto a quello che sembra meraviglioso benché quasi inesprimibile a parole."

Nonostante questo può comunque essere un fan. "La competenza scatta quando qualcosa non è buona", dice. "Quando un film funziona davvero, ne sei catturato e semplicemente stai lì seduto, immedesimandoti e traendone piacere."

Occasionalmente, Kubrick si immedesima quasi fino alle lacrime. "Ci vado vicino, ma non mi chiedere in quali ho pianto. Non ci sono così tanti film che provano a portarti alle lacrime e che siano poi così buoni."

Per i prossimi tre mesi, deve conservare la sua tranquillità. Supervisionerà il doppiaggio e i sottotitoli di Full Metal Jacket per la distribuzione internazionale. Poi si ritirerà dalle luci della ribalta, senza dubbio per ritornare ancora una volta.

"Il procedimento di realizzare un film è bello e divertente e mi piace fare film", ammette. "Ma ci sono indubbie virtù e vantaggi nel fare altre cose - come vivere."

Stanley Kubrick at a distance, di Lloyd Grove
The Washington Post, 28 Giugno 1987
Traduzione dall'inglese per ArchivioKubrick di Damnpuck

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