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Come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare Barry Lyndon
di John Hofsess

Guardando il film di Stanley Kubrick Barry Lyndon, mi è venuta in mente la storia di un visitatore ad una mostra d'arte il quale, dopo aver studiato ogni quadro con crescente perplessità, si avvicinò all'artista che aveva dipinto i quadri e disse: "Mi piace il tuo lavoro, ma non sono proprio sicuro di quello che stai cercando di dire." L'artista replicò: "Se avessi saputo dirlo, non mi sarei preso il disturbo di dipingerlo."

Si potrebbe dire lo stesso di Barry Lyndon: per una persona con una predisposizione al verbale il film non offre molto su cui rimuginare. Non c'è nessun aspetto concettuale o discorsivo, nessun sottofondo di sociologia alla moda né un qualche nocciolo filosofico. Non è affatto come Nashville o Ultimo tango a Parigi, film per i quali un sapiente recensore potrebbe scrivere il tipo di analisi approfondita e ricca di riferimenti che i critici hanno riservato per lungo tempo ai romanzi. Barry Lyndon, piuttosto, lancia il guanto di sfida a quei critici cinematografici che sotto mentite spoglie sono in realtà critici letterari o teatrali, mettendo alla prova la loro capacità di apprezzare qualità di forma, composizione, colore, atmosfera, musica e ritmo del montaggio, tutte qualità cinematografiche a cui di solito non sono molto interessati. Gli strumenti principali di un critico sono le parole e quando un film non si presta ad una traduzione verbale - discussioni sul personaggio, sulle idee, sui valori, sullo sviluppo della trama e così via - molti critici sono inclini a rigettarlo come poco importante o fallimentare.

Essendo io stesso un "uomo di lettere," capisco molto bene il malcontento di alcuni recensori verso la mancanza in questo film di dialoghi arguti o memorabili, la mancanza di idee provocatorie, la mancanza di uno sviluppo del protagonista e di una recitazione coinvolgente dal punto di vista emotivo.

Si suppone che i critici scrivano con la certezza dei punti esclamativi: diversamente dai filosofi, i critici non possono costruirsi una reputazione basata sul dubbio. Eppure, mentre si avvicinava la data di scadenza per il mio articolo, mi sono ritrovato di fronte a un punto interrogativo. Quanto sarebbe molto più facile il mio compito, riflettevo, se Barry Lyndon fosse come i primi film di Kubrick. Quei film erano impreziositi da grandi recitazioni - ci si ricorda di Adolphe Menjou e Kirk Douglas in Orizzonti di Gloria, di James Mason in Lolita e, con affetto speciale, di Sterling Hayden e Peter Sellers nel Dottor Stranamore - e di tanto in tanto producevano perfino delle battute memorabili, come quella sui "prevert" in Stranamore. Possedevano dei soggetti ben definiti ed era facile discuterne. A quei tempi, si andava a vedere i film di Kubrick e si tornava a casa con un messaggio.

A partire da 2001 tuttavia, poiché Kubrick ha iniziato a spingere la propria ispirazione e ossessione ai limiti estremi insistendo sulla supremazia di un'esperienza filmica che fosse essenzialmente ambigua e di difficile spiegazione, si va a vedere un film di Kubrick e si torna a casa molto confusi. Che ti sia piaciuto o meno, la tua mente è stata sfiorata da qualcosa di originale.

Non tutti hanno gradito. Quando nel 1968 uscì "2001", il film fu accolto con sbuffi di derisione praticamente da tutti i più importanti critici, fatta eccezione per Penelope Gilliatt. "Un film monumentalmente privo di immaginazione," scrisse Pauline Kael. "Una grande delusione," disse Stanley Kauffmann. "Incredibilmente noioso," commentò Renata Adler. "Un increscioso fallimento," scrisse John Simon, liquidandolo come "una lunga e insensata storiella su Dio." "Un disastro," affermò Andrew Sarris.

Tenendo a mente la fredda accoglienza critica riservata a 2001 una volta chiesi a Kubrick, poco prima dell'uscita londinese di Arancia Meccanica, se avesse mai imparato qualcosa di nuovo sul suo lavoro leggendo la critica cinematografica. La sua risposta fu un veloce e deciso "No."

"Vedere il film una volta e scrivere una recensione è un'assurdità," mi disse. "Eppure sono davvero pochi i critici che guardano il film una seconda volta o che scrivono la recensione da una prospettiva meditata e senza fretta. Le recensioni che contraddistinguono la maggior parte dei critici, sfortunatamente, sono quelle stroncature scritte di getto, facili e divertenti da scrivere ma assolutamente inutili. Non c'è granché da imparare da un critico che ostenta la propria bravura nello scrivere gag stupide e arroganti su qualcosa che odia."

Durante una recente visita in Inghilterra ho parlato di nuovo con Kubrick nella sua casa di Borehamwood, fuori Londra. Questa volta, ovviamente, l'argomento centrale della nostra discussione era Barry Lyndon e io ero perfino arrivato armato di una edizione annotata del libro Le memorie di Barry Lyndon. Senza dubbio, ero molto più preparato a parlare di libri che di film.

"Presto!" disse Kubrick ad uno dei suoi assistenti, "Passami quell'articolo del Times su Barry Lyndon così posso discutere di Thackeray." Il pezzo in questione era un lungo saggio nell'edizione domenicale del Sunday Times di Londra che descriveva in dettaglio la battaglia combattuta da Thackeray per scrivere il romanzo nonostante un retroterra fatto di debiti di gioco e infelicità matrimoniale. L'ironia di Kubrick era scherzosa ma appropriata. "Le parti più importanti di un film sono quelle misteriose," disse, "oltre la portata della ragione e del linguaggio."

Quando gli chiesi dell'apparente cambiamento nei suoi film, dai primi drammi più convenzionali agli esperimenti stilistici da 2001 in poi con la loro enfasi sulle immagini e sulla musica, Kubrick mi rispose, "Potrebbero esserci dei cambiamenti nei miei film ma questo non significa che ci siano dei cambiamenti personali in me stesso. Quello che succede nell'industria cinematografica è qualcosa del genere: quando uno sceneggiatore o un regista inizia a darsi da fare, i produttori e i finanziatori vogliono vedere ogni cosa scritta su carta. Giudicano il valore di una sceneggiatura come se dovessero giudicare quella di uno spettacolo teatrale, ignorando la grande differenza che passa tra le due. Vogliono un bel dialogo, una trama serrata, uno sviluppo drammatico. Quello che ho capito è che più un film è completamente cinematografico, meno interessante diventa la sceneggiatura. Perché una sceneggiatura non nasce per essere letta, ma per diventare un film.

"Così, se i miei primi film sembrano più incentrati sul verbale degli ultimi, è perché ero obbligato a conformarmi a certe convenzioni letterarie. Poi, dopo qualche successo, mi è stata data una libertà più grande per esplorare il medium come preferivo. Non pubblicheremo nessuna sceneggiatura di Barry Lyndon perché non c'è nulla di interessante da leggere da un punto di vista letterario."

L'argomentazione di Kubrick è ineccepibile. C'è una scena in Barry Lyndon ad esempio che nella sceneggiatura di Kubrick è indicata semplicemente con "Barry duella con Lord Bullingdon." Solo questo, nient'altro. Tuttavia, quello che alla fine ha raggiunto lo schermo è una delle sequenze più sbalorditive del cinema moderno. La scena dura circa sei minuti e se accade poco in termini di contenuto effettivo - vengono sparati tre colpi di pistola e Barry è ferito ad una gamba dal figliastro - molto succede in termini di stile. Ci sono volute sei settimane - 42 giorni lavorativi - solo per montare questa scena. Per trovare la musica, la Sarabanda di Handel, Kubrick ha ascoltato ogni registrazione esistente di musica del XVII e XVIII secolo che ha potuto procurarsi, letteralmente migliaia di dischi. Ciò che ha raggiunto in questi momenti del film potrebbe essere definito gestalt cinematica: ispirate combinazioni di parole, immagini, musica e ritmi di montaggio che creano un genere di esperienza artistica inaccessibile agli altri medium.

Alla fine Kubrick potrebbe ritrovarsi in un cul-de-sac, dal momento che con la "grammatica" del mezzo cinematografico sta seguendo una linea di sviluppo simile a quella perseguita in letteratura da James Joyce e Vladimir Nabokov. Non c'è dubbio che Joyce e Nabokov, più di qualunque altro scrittore del XX secolo, abbiano brillantemente esplorato ed allargato i limiti tanto del linguaggio che della struttura del romanzo, tuttavia entrambi sono stati irresistibilmente e ossessivamente indotti a chiudere le loro carriere con dei capolavori freddi ed inanimati quali Finnegans Wake e Ada, adatti ad essere più decifrati che letti da una manciata di studiosi dediti esclusivamente al raziocinio. E' tipico di una carriera del genere che la gente continui a dire "Questa volta sei andato davvero troppo oltre! Ci erano piaciuti il tuo ultimo film o romanzo, poi basta!" Il prezzo della crescita è la disaffezione.

Due settimane dopo aver visto Barry Lyndon non me ne ero ancora fatto un giudizio certo. Continuavo a volere che il film arrivasse a qualcosa di profondo. D'altra parte i lettori vittoriani furono altrettanto insoddisfatti con la storia di Thackeray sul giovane irlandese libertino in carriera che sviluppa una sfrenata ambizione per ottenere benessere, potere e prestigio, vince il tutto senza alcuno scrupolo per poi perderlo ad un nuovo giro della ruota della fortuna. I lettori si lamentarono aspramente per la mancanza nella storia di un punto fermo, di uno scopo, e soprattutto dell'abituale dose di edificazione morale.

"Non ho la testa sopra agli occhi," replicò Thackeray a queste critiche, una battuta che Kubrick potrebbe prendere in prestito a proprio favore. Una seconda visione del film non aveva fugato le mie incertezze. Poi una sera, dopo circa un'altra settimana, mi misi ad ascoltare il disco della colonna sonora, la Sarabanda di Handel, Women of Ireland dei Chieftans, e così via, e all'improvviso sentii un'intensa ondata di emozioni. Frammenti ed episodi del film tornarono precipitosamente in vita: l'incerto primo amore di Barry per sua cugina Nora, i tavoli da gioco circondati dalle candele, la sequenza del duello e altre ancora. Erano diventate immagini imperiture nella mia memoria e capii che stavo guardando un film e apprezzandone le qualità in un modo alquanto nuovo per me.

Come molti critici e spettatori, sono diventato talmente abituato alle convenzioni letterarie e alle usuali strutture dei film che guardarne uno capace di forzare la consapevolezza di ciò che si può raggiungere con il medium sembra sconcertante e difficile. I film di Kubrick hanno un modo particolare, almeno per qualcuno, di continuare a lavorare nella mente e di passare attraverso tutti gli stadi, dall'irritazione all'euforia. E visto che si suppone che siano i critici i più progrediti e percettivi fra gli spettatori, è piuttosto curioso constatare che in questo caso sia stato il pubblico normale, non ostacolato da pregiudizi letterari, il principale artefice nel rendere 2001 e Arancia Meccanica non solo film di immensa popolarità ma anche di sempre maggior statura.

Potrebbe essere vero solo in parte dire che la divisione sui film di Kubrick passi principalmente tra persone con un'inclinazione al verbale e quelle con una predisposizione per il visuale. Piuttosto, la distinzione di base sembra essere tra persone che rimangono fissate nelle nozioni di ciò che secondo loro un film è o dovrebbe essere e quelle dotate di carattere più flessibile, desiderose di rispondere a un esperimento estetico. Forse l'unica massima astratta che si può dedurre dal nuovo film di Kubrick è: "L'apertura è tutto."

How I learned to stop worrying and love Barry Lyndon, di John Hofsess
The New York Times, 11 Gennaio 1976
Traduzione dall'inglese per ArchivioKubrick di Michele Pavan Deana

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