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Maria Pia Fusco
(1939-2016)

Sceneggiatrice negli anni '70 e giornalista di cinema per La Repubblica, ha conosciuto lo scenografo Ken Adam sul set di Salon Kitty di Tinto Brass, conoscenza che alla fine degli anni '70 le ha permesso di visitare la casa di Stanley Kubrick.

 
Il castello segreto
di Maria Pia Fusco

Alla fine degli anni Settanta le serate a casa del regista tra spaghetti e musica. Quando parlavamo di Fellini nella cucina del maestro.

Keep out, Watch the dog, No entry, Go away, No stop... E' impressionante il numero dei cartelli del "proibito" e della diffidenza sistemati in evidenza sul cancello della villa di Stanley Kubrick. Sono almeno dodici, un compendio di divieti che scoraggia chiunque anche ad una breve sosta. E già la villa - più una solida, vecchia casa di campagna che una dimora sontuosa - nascosta tra gli alberi in un vialetto interno rispetto alla strada comunale che attraversa il verde Surrey. Bisogna conoscerla per trovarla, e la conoscono i pochi ammessi, i collaboratori del momento, i rari amici fedeli e qualcuno garantito da persone fidate. Superato il cancello, nello spiazzo antistante la casa, c'è una torre ruvida di pietra scura, un ex deposito agricolo trasformato in studio-rifugio dove Christiane Kubrick, la moglie del maestro, trascorre molto del suo tempo a dipingere quadri astratti dai colori cupi e angosciosi. Nella torre non c'è il riscaldamento, secondo Kubrick per dipingere non è necessario stare al caldo.

L'ambiente che più colpisce, oltre ad una cucina con un tavolo gigantesco attorno al quale si svolgono spesso le riunioni di lavoro del maestro, è un immenso salone, con comode poltrone sparse senza ordine, che però, più che destinato al conforto degli ospiti, è dominato anch'esso dal maestro e dal suo lavoro. Che si ritrova nella modernissima attrezzatura per l'ascolto della musica e in scaffali di dischi e cassette, e in una serie di pesanti, misteriosi armadi scuri. Il privilegio della frequentazione di casa Kubrick, garantita dall'amico scenografo Ken Adam, risale al periodo seguente a Barry Lyndon, quando il maestro si era di nuovo appassionato alla biografia di Napoleone.

Ed ecco svelato il mistero degli armadi. Dopo la cena (spaghetti, la cucina italiana si usa molto) e dopo una serie di inquisitorie domande agli ospiti italiani su Fellini, "Come sta Fellini, com'è andato l'ultimo film di Fellini, cosa prepara Fellini" (l'unica personalità del nostro cinema che ritenesse degno di rispetto e di un'attenzione anche un po' gelosa, tant'è che per Barry Lyndon ebbe momenti di grande ansia, temeva che Il Casanova potesse avere punti in comune con il suo film), in un'esplosione di cordialità il maestro spiega che gli armadi sono in realtà un archivio per il film su Napoleone. Un'infinità di cartelline con targhette scritte a mano, nelle quali sono classificate le sequenze del film: scene con due personaggi, con tre, con quattro, ecc., scene di battaglia con cinquanta, cento, duecento o più comparse, scene con un morto, due morti, cento morti, riunioni strategiche e Napoleone in privato, scene con donne... Le spiegazioni del maestro sono affascinanti, gli occhi azzurri si illuminano quando per illustrare il suo Napoleone si accompagna con una colonna sonora wagneriana, gli ospiti lo seguono rapiti.

Nessuno si sorprende della maniacalità quasi patologica del suo lavoro, neanche quando parla dei codici segreti che ad ogni film inventa per comunicare con i collaboratori più stretti "perché è bene non fidarsi, sui set si infiltrano spie e mascalzoni. Se Napoleone avesse usato più cautela nella scelta dei collaboratori, il suo destino forse sarebbe stato diverso." Peccato che il suo Napoleone non sia diventato un film: sarebbe stato lo specchio di Kubrick, ci avrebbe aiutato ad entrare nel mistero del suo genio.

Repubblica.it, 23 Luglio 1998

La Repubblica
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