Kubrick cercava di mettere le persone sotto tutela
di Francois Forestier
Romanziere, saggista, critico letterario, Frederic Raphael, lo sceneggiatore
di Eyes Wide Shut ha lavorato due anni all'ombra del regista. Ha
tratto da questa esperienza un libro sorprendente, Eyes Wide
Open.
La stampa americana l'ha attaccato con violenza.
E' comico. Il paese della libertà di stampa non apprezza che
ci si esprima liberamente.
Che cosa le hanno rimproverato?
Di avere descritto Kubrick come un ebreo che si detestava. Non è
quello che io ho scritto, ma quello che la stampa americana ha voluto
leggere. Visto che gli americani non leggono i libri, ma gli articoli
sui libri, ecco fatto il pasticcio. E' stato un articolo del New York
Post che ha fatto scattare il meccanismo... In realtà il mio
libro è molto affettuoso. E' il primo libro nel quale Kubrick non
è dipinto come un genio scolpito nel marmo.
Veniva immaginato sovente come un tiranno.
In effetti è un'immagine confortante, facile. La realtà
è più complessa.
Il Kubrick del suo libro è inedito. Lo si pensava
un genio dell'informatica ed invece cancella inavvertitamente i dischetti del computer.
Lei lo tratteggia come una persona molto indecisa, mentre lo si immaginava esattamente il
contrario.
E' come la Vita di Gesù di Renan. Bisogna avere il
coraggio di parlare di Kubrick come di un uomo. Spielberg si è
arrabbiato perché Kubrick ha detto che Schindler's List
è un film su 6000 ebrei che sono sopravvissuti, mentre ne sono
morti 6 milioni. Non c'è bisogno di sentirsi offesi. Sentirsi attaccati
nella proprio ebraicità dal momento in cui si emette una critica,
è ridicolo. E' una mentalità da ghetto.
Una delle cose più stupefacenti della vita di Kubrick,
è che egli ha sposato Christiane Harlan.
Infatti, Christiane è la nipote del cineasta nazista Veit Harlan,
che ha realizzato Suss l'ebreo. Essi si sono incontrati
in Germania... Per un ebreo, si tratta di un incontro molto sorprendente. Ma non è
giusto fare commenti su questo fatto.
Le biografie sono generalmente molto discrete su questo
matrimonio, mentre lei nel suo libro ne parla.
Per il fatto che Kubrick me ne aveva parlato.
Qual è stata la suo prima impressione su Kubrick?
Era come un funzionario di basso livello delle Ferrovie francesi.
Non aveva l'aspetto del genio che si conosce. Era molto modesto, non voleva
fare colpo a tutti i costi.
Lei lo descrive come una persona molto esitante.
A volte lo era a volte non lo era. Andava a pesca, aspettava e otteneva
quello che voleva. Ti faceva provare, riprovare...
Alcuni attori sono diventati matti a forza di provare le
scene.
Era il metodo Kubrick. Faceva dozzine di riprese. E se un attore
diceva: "Ho fatto qualcosa che non andava bene?" Kubrick non
rispondeva. Aspettava, senza sapere esattamente cosa. Così, quando
Peter Sellers arrivò sul set del Dottor Stranamore, Kubrick
posizionò sei cineprese e Sellers si lanciò nelle sue grandi
interpretazioni. Visto che la scena non poteva essere ripetuta allo stesso
modo, Kubrick filmava e faceva il montaggio.
Non sapeva quello che voleva?
Sapeva quello che non voleva.
Nel suo libro si percepisce una certa frustrazione mal
dissimulata.
Ammiravo Kubrick e non ho mai messo in discussione il suo ruolo di
direttore, di capo. Ma nei rapporti con i suoi collaboratori, lui non
era sincero. Non amava condividere i meriti. Amava dominare. Traeva le
cose dalle persone, per aggiustarle a suo piacimento. Questo per me era
ingannevole. Perché tutti questi sforzi per cancellare il mio nome?
La sceneggiatura non portava il mio nome. Sul set, gli attori avevano
l'impressione che il vero sceneggiatore fosse Kubrick. Però lui
non era in grado di scrivere. Si comportava come un re che guariva le
piaghe con il solo tocco. Tutti sanno che il tocco del re non guarisce
niente. Ma tutti facevano finta di crederci... Kubrick non era il re,
ma credeva di esserlo. Una cosa molto comica.
Il libro di Schnitzler, Doppio Sogno,
dal quale è tratto il film è piuttosto insipido. Che tipo di problemi avete
incontrato nell'adattamento?
Ce ne sono stati essenzialmente due. I sogni, che erano eccessivamente
pretenziosi e che rischiavano di farci cadere in cliché preconfezionati.
Quando si vuole realizzare un sogno al cinema, non funziona mai. Il fatto
che un sogno non è uno specchio. Il secondo problema era l'orgia,
il ballo mascherato. Bisognava trovare il modo di tradurlo adeguatamente.
E' la parola chiave: tradurre. Bisogna capire l'essenza del mito, della
storia. Il nocciolo della storia è che, nonostante tutte le vicissitudini,
la coppia rimane insieme. Ambedue hanno sogni nascosti, ma alla fine restano
insieme. Esiste uno scarto tra il desiderio e la vita reale. Quindi, per
passare dal libro al film, bisognava trapiantare dei personaggi dall'Europa
centrale a Manhattan e far loro cambiare epoca. Ma i loro rapporti dovevano
restare fedeli allo spirito del romanzo. Piuttosto difficile.
Piuttosto difficile, in effetti.
Il lavoro dello sceneggiatore è molto difficile in queste
condizioni. Ti prendono, ti buttano. Uno può reagire in molti modi:
tenere il broncio, ironizzare o opporsi. Io, sono un pessimo perdente.
Non cedo mai. Abbiamo discusso molto.
Lei ha detto che lui voleva che i personaggi, che erano
ebraici in partenza, non lo fossero più alla fine.
Non voleva cadere nel campo di Woody Allen. Kubrick voleva raggiungere
un pubblico più vasto possibile, penso. In fondo, lui era estremamente
hollywoodiano. Molto.
Ma lui detestava Hollywood.
E allora? Si può essere francesi e detestare la Francia. Per
esempio, quando lui ebbe la percezione che la nostra collaborazione si
stesse esaurendo, mi disse grazie e arrivederci. E da allora non ne ho
più sentito parlare. Questo è molto Hollywoodiano.
Kubrick aveva una grande cultura letteraria?
Avrebbe voluto. Era impaziente... Avrebbe voluto acquisire la cultura
universitaria che gli mancava. Per ragioni che io ignoro, a 17 anni aveva
interrotto gli studi. Suo padre era benestante, avrebbe potuto continuare...
Kubrick divenne fotografo. Allo stesso tempo, assisteva alle lezioni della
Columbia University per ascoltare i grandi professori. Quando lavoravamo
insieme, mi faceva sovente domande su Giulio Cesare, su Roma, tutti soggetti
che io conosco molto bene. Era molto curioso.
Quali altri soggetti lo affascinavano?
Parlavamo dell'Olocausto... Pensava che fosse la peggiore catastrofe
dell'umanità. Io gli dicevo che ci sono stati 6 milioni di congolesi
sterminati dal re dei Belgi... Gli dicevo che bisogna diffidare di questa
idea, non si può postulare che solo gli ebrei sono stati massacrati...
Voleva fare un film su questo argomento, da un libro di Louis Begley,
Wartime Lies, il quale racconta della sopravvivenza di un bambino
ebreo durante la guerra. Quanto all'Olocausto, diceva di avere visto pochi
film sull'argomento... Allo stesso modo, non aveva visto il film di Munk,
The Passenger...
Come cercava i soggetti?
Ce n'erano un certo numero che lo interessavano: la guerra, Napoleone,
ecc. Bisogna capire una cosa, che lui amava le idee, non le persone. Aveva
preso le distanze dal mondo ritirandosi. E questo allontanamento valeva
anche per le persone immaginarie, per i personaggi inventati. Cercava
di controllare gli altri, di metterli sotto tutela. Io penso che ne avesse
paura.
Paura di cosa?
Non lo so. Penso fosse stata una persona dalla giovinezza molto solitaria.
Le biografie ci dicono che non era molto simpatico, era timido. Si è
costruita un identità, un alter ego. E' diventato un artista. Questo
personaggio di artista lo ha messo al riparo dal mondo esterno.
Si è inventato un'identità fittizia...
Esatto. E' emigrato da se stesso per inventare la personalità
di Stanley Kubrick, regista e creatore solitario. E' diventato se stesso
diventando un altro.
Kubrick cherchait à mettre les gens sous tutelle, di Francois Forestier
Le Nouvel Observateur, numero 1818
Traduzione dal francese per ArchivioKubrick di Rufus McCoy