Eyes Wide Shut
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John Baxter e Michel Ciment
Due dei più famosi critici kubrickiani discutono sulla compiutezza di Eyes Wide Shut

John Baxter è l'autore di una delle due biografie non autorizzate su Stanley Kubrick; Michel Ciment è il critico francese autore della più accreditata analisi dell'opera del regista.

Come estremamente diversi sono i loro libri, il primo incentrato a raccontare aneddoti della vita di Kubrick che poco hanno a che vedere con l'artista e molto con le ossessioni e le devianze di cui tutti hanno sempre parlato, il secondo volto ad analizzare in modo profondo e lucido l'arte di un regista la cui visione del cinema è totalizzante, così lo sono le idee sulla compiutezza dell'ultimo film kubrickiano.

Le due interviste qui presentate esplicano alla perfezione lo spessore critico dei due autori.

 
Eyes Wide Shut: l'ultima illusione.
di Luigi Sardiello

FilMaker's MagazineUn film atteso dodici anni. I pareri controversi dei due biografi più accreditati, John Baxter e Michel Ciment. Anche da morto, Kubrick continua a dividere.

Stanley Kubrick è morto improvvisamente, domenica 7 marzo 1999, nella sua casa di Childwick Bury. Con un colpo di coda assolutamente coerente al suo senso del "non finito", al suo essersi e non esserci, ha chiuso gli occhi che per una vita intera aveva tenuto spalancati sul mondo. Di metafora in metafora, ha interrotto il suo sogno meraviglioso per cominciarne un altro.

Anche se la Warner si è subito affrettata a smentire la notizia che Eyes Wide Shut non fosse stato completato, interpretazioni, insinuazioni, battute e pettegolezzi hanno fatto il giro del mondo. Oggi, alla vigilia della sua uscita nei cinema italiani, il dibattito è ancora aperto.

Tra le tante voci, due si stagliano, per carisma ed esperienza, al di sopra del coro, Sono quelle di John Baxter e Michel Ciment, i due biografi kubrickiani più accreditati, ombre che hanno viaggiato al suo fianco per venticinque anni, speleologi della prima ora. A loro abbiamo affidato la responsabilità dell'interpretazione, consci che si tratta di un gioco.

Un gioco non del tutto superfluo. Parlare di Eyes Wide Shut oggi è il miglior pretesto per riflettere sul cinema. Perché nessun'altra analisi potrà mai penetrare il cono d'ombra che si cela dietro l'occhio di un genio.

FilMaker's Magazine, anno 2 N.9, Ottobre 1999

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Baxter: la vera storia di Stanley K.
di Luigi Sardiello

John Baxter, cosa è successo con Eyes Wide Shut? Lo ha davvero finito Kubrick o no?
Sicuramente no. Il film era quasi finito ma Kubrick non aveva ancora detto la parola definitiva sul montaggio. Come saprai, Kubrick poteva ritirare i film anche se erano già nelle sale. Lui cambiava continuamente, pensava al film proprio fino all'ultimo minuto: mandava in giro i montatori per tagliare interi minuti di film. Era già accaduto per Shining e per 2001: Odissea nello Spazio. Sarebbe accaduto lo stesso per Eyes Wide Shut.

Come fai ad esserne così sicuro?
Nella prima settimana di marzo, pochi giorni prima di morire, Kubrick aveva mandato una copia del film a New York perché Cruise, Kidman e i dirigenti della Warner, Robert Daly e Terry Semel, lo vedessero. La proiezione si è svolta in assoluta segretezza: al di fuori degli interessati, a nessuno, nemmeno al proiezionista, è stato concesso di vedere il film. Segno che per Kubrick quella non era ancora la versione definitiva. Semel, ad esempio, aveva il timore che il film sarebbe stato vietato ai minori di sedici anni. E quando c'era stata la proiezione, per gli esercenti alla ShoWest, del famoso trailer di 90 secondi, le reazioni sono state piuttosto tiepide. Altro motivo, forse, per metterci le mani. Lo stesso vedendo il film...

Che cosa hai pensato?
Che i tempi nella prima parte sono perfetti, mentre il montaggio nella seconda diventa più ordinario. Come se fosse stato fatto da un ottimo professionista e non da un genio.

E da un punto di vista prettamente visivo?
Il film è straordinario. La scena dell'orgia, ad esempio, è una sequenza di affreschi pittorici. C'è dietro uno studio dei colori, delle tecniche, delle scuole di pittura, minuzioso e profondo. Ma è anche il lavoro di un grande fotografo, quale Kubrick era. E' come se per ogni inquadratura avesse prima costruito la cornice giusta e poi dato prospettiva e luminosità a quello che c'è dentro.

Una cosa che mi ha colpito è la serie di citazioni dai suoi film precedenti: da 2001 a Barry Lyndon, da Lolita a Rapina a Mano Armata. Come se ci fosse il presagio di una morte imminente.
No, non penso che Kubrick avesse la sensazione di stare per morire, perché questo è un progetto che lui aveva iniziato trent'anni fa, e aveva cominciato a lavorarci insieme alla sua seconda moglie. Freddie Raphael ha finito la sceneggiatura cinque o sei anni fa. Non poteva esserci la sensazione di opera ultima...

Torniamo al risultato finale. Hai parlato di grande effetto visivo. Ma Eyes Wide Shut è anche un'opera esistenziale, psicologica, letteraria...
Non c'è dubbio. Ma lasciami dire che queste sono le cose meno kubrickiane di tutto il film. Kubrick, che aveva un talento smisurato, lo indirizzava in maniera ossessiva verso le cose che gli interessavano. Di cinema, ad esempio, sapeva tutto di tutto, anche tecnicamente: dalle caratteristiche della macchina da presa al sonoro, dall'illuminazione alla stampa. Ma quanto alla filosofia, alla letteratura, non erano la sua tazza da tè. Lì era semplicemente molto bravo a farsi aiutare dalle persone giuste. La seconda moglie, per esempio, che gli fece conoscere i classici come Dostojevskij e Schnitzler. Quanto alla filosofia, si appoggiava a persone incredibili, come Diane Johnson o Michael Hordern, il top del top. Faceva loro domande su domande, chiedeva informazioni di continuo, li spremeva come limoni, voleva capire esattamente tutto quello che sapevano loro! E il suo lavoro consisteva nel manipolare queste nozioni, nel reinventarle.

E' un po' quello che ha sempre fatto con le storie che decideva di girare.
Esatto. Anche in questo film, è vero che ha deciso di partire da Doppio Sogno, che è un classico, ma poi ha affidato la sceneggiatura a Frederic Raphael, la cui scelta rimane un mistero per tutti. Lo stesso Raphael non ne sa spiegare il motivo. Dice che Kubrick aveva visto un suo cortometraggio a basso costo e lo ha chiamato. E' stato un rapporto prevalentemente telefonico. Una lunga, straordinaria, ossessiva avventura via cavo.

Come sei arrivato ad avere tutte queste informazioni?
Ho passato 25 anni ai dinner party parlando con la gente. Voglio dire, è impossibile scrivere una biografia come la mia in modo tradizionale. Avrei potuto farne una autorizzata, ce ne sono diverse, ma sarebbe stato così noioso... Se un personaggio ti autorizza, perdi la tua libertà: scrivi quello che ti racconta lui e finisce lì. Invece tutto sta ad entrare in contatto con il mondo esterno, magari coi suoi nemici! Così vado ad una festa ad Hollywood e comincio a parlare di Stanley Kubrick. C'è sempre qualcuno che mi dice: "io ho lavorato con Stanley, sono stato il suo film editor per Shining" e dico, "oh, deve essere stato un casino montarlo", e lui mi spiega tutto e poi mi dice: "dovresti parlare con questo tizio perché il vero casino è stato la luce..." Così, da una festa all'altra, capita che finisco a parlare con il cognato di Kubrick e lui mi racconta della situazione finanziaria... è così che vanno le cose.

Ma si tratta di pettegolezzi!
E' un rischio che va corso. Per esempio un professionista capisce che sono evidentemente false le voci come quella che Harvey Keitel, inizialmente scelto per il ruolo che poi ha impersonato Sydney Pollack, avrebbe eiaculato sui vestiti della Kidman. O che Kubrick avrebbe licenziato tutta la troupe perchè uno dei componenti aveva detto per scherzo a Cruise: "Scommetto che hai avuto più rapporti sessuali con Nicole in questo film che in tutto il tuo matrimonio". Ma ci sono racconti molto più accreditati che sono utili per ricostruire l'atmosfera del film o per definire meglio il ritratto del regista; ad esempio quello secondo cui Kubrick, dopo aver fatto rifare a Cruise la stessa scena per novanta volte, gli avrebbe sussurrato: "Resta con me, Tom, e farò di te una star."

A proposito di storielle...
Ho capito cosa intendi. C'è questa barzelletta molto divertente che gira a Hollywood. Steven Spielberg muore e va in paradiso, si guarda intorno e vede un tizio in bicicletta. Intanto gli si avvicina San Pietro e lo saluta. Spielberg lo guarda e fa: "Oh, ma quel tizio in bicicletta non è Stanley Kubrick?" E San Pietro: "No, è Dio, ma pensa di essere Stanley Kubrick!"

FilMaker's Magazine, anno 2 N.9, Ottobre 1999
John Baxter
 
Ciment: sogno contro sogno
di Luigi Sardiello

Michel Ciment, pensi che Eyes Wide Shut sia stato davvero finito da Stanley Kubrick?
Sicuramente sì. Ho parlato personalmente con il montatore del film, lo stesso che aveva lavorato in Full Metal Jacket, e mi ha confermato che, quando Kubrick mandò il film a New York per la proiezione privata con Robert Daly, Terry Semel, Nicole Kidman e Tom Cruise, gli disse che considerava quello il suo final cut. D'altra parte non posso immaginare, sapendo bene come ha lavorato Kubrick per 45 anni, che mostrasse agli attori e ai produttori un montaggio che non fosse quello definitivo.

Niente di strano dunque.
Se devo essere preciso una stranezza c'è. Ho trovato anomalo il fatto che il film mostrato a New York non fosse missato e sincronizzato in versione definitiva. Di solito la prassi era mostrare il film ai produttori, completo in ogni sua parte tre settimane prima della prima, quando nulla si poteva più cambiare. Un motivo plausibile è che avesse paura della censura e, mostrando il film per tempo ai produtori, questi avrebbero potuto adottare una strategia nel caso in cui la Release Jury avesse attribuito al film la X, che significa "vietato ai minori di 16 anni"!. Kubrick questo non lo voleva assolutamente, perché avrebbe impedito al film di circolare poi in televisione.

Kubrick però si riservava il diritto di intervenire in qualsiasi momento, fino alla fine...
Sì, è vero. Se non fosse stato regista, avrebbe fatto il pittore, proprio per questa sua mania di ritoccare continuamente le cose. Ma anche questa non era una prassi costante. Per esempio, si sa che in 2001, dopo aver visto le reazioni del pubblico nella prima a Washington, tagliò 20 minuti; e che in Shining ne tagliò altrettanti per la versione europea. Ma Barry Lyndon durava 3 ore ed è rimasto di 3 ore, e Full Metal Jacket durava un'ora e 55 minuti e nulla è cambiato. Insomma, è impossibile sapere se il final cut sarebbe rimasto tale o no, e per questo film non lo sapremo mai. Ma escludo che qualcun altro abbia messo le mani al suo posto, dopo di lui, sulla pellicola.

Credi che il senso della morte abbia influito sul prodotto finale?
Sicuramente Kubrick era esausto e se ne rendeva conto. Quest'ultimo film è stato uno sforzo enorme: un anno di riprese, un anno di montaggio, lavorando venti ore al giorno e dormendone quattro a notte. Era sotto pressione ed è probabile che sia morto anche per questo. E il mio parere è che, consciamente o inconsciamente, Eyes Wide Shut sia il suo testamento, molto più di tutti gli altri film. Ma non tanto per le autocitazioni. Ogni film di Kubrick era ricco di riferimenti ai precedenti. Per esempio in Arancia Meccanica c'è una scena in cui Malcolm Mc Dowell è nel drugstore con due ragazze, vestito come Barry Lyndon. No, questo film ha molto a che vedere con la vita privata.

Ma ogni film ha a che vedere con la vita privata di un artista.
Sì. Ma questo film riguarda in maniera viscerale la sua vita privata, che nel suo caso, significava anche vita professionale. Per Kubrick erano cucite insieme. Viveva e lavorava nella stessa casa. Non aveva la vita avventurosa di altri artisti, sentiva fortemente le angosce e le problematiche di una qualunque coppia borghese del nostro secolo. E dunque era molto coinvolto nei problemi personali e privati della coppia del fim. Per dirne una, l'appartamento di West Central Park a New York, dove vivono Bill e Alice, i protagonisti del film, è lo stesso, con lo stesso arredamento, dove Kubrick e la seconda moglie hanno vissuto nel 1965. Hai fatto caso che, se si esclude Full Metal Jacket, i suoi ultimi quattro film sono riflessioni sui rapporti umani, in particolare su quelli tra uomo e donna? Per questo penso proprio che un film come Eyes Wide Shut, e non voglio fare del black humour, sia il film perfetto per finire una carriera e una vita.

Oltre che un film sulla coppia, mi sembra anche un film sul rapporto tra sogno e realtà.
Il cinema somiglia molto ai sogni, perché in entrambi le immagini sono più importanti delle parole. Kubrick amava molto il tema del sogno e amava molto il cinema: in particolare adorava i film muti, che sono il trionfo dell'immagine. Per cui, ponendo il sogno al centro del suo film, si è tuffato in un meraviglioso viluppo in cui non si distingue più alcun tipo di confine. Il principio di Eyes Wide Shut si basa sul conflitto tra sogno e realtà, e questa opposizione, nel film come nel libro, è simboleggiata dall'opposizione tra uomo e donna. Lui vive nella realtà, lei nel sogno. Ma attenzione, la realtà di lui è come un sogno, un incubo a tratti, e il sogno di lei è più reale della realtà. E già qui le cose si complicano. Poi c'è il cinema, che a sua volta è sogno. E serve a far sognare gli spettatori, come Kubrick sapeva bene. Dietro tutto questo, dentro tutto questo, c'è l'eros, vale a dire Freud. Sogno ed eros rappresentano i due nodi centrali della teoria freudiana, del nostro secolo.

Qual era il rapporto di Kubrick con la psicanalisi, con la filosofia?
Molto stretto. Freud ha avuto una grande influenza su Kubrick. Ma direi che tutta la cultura mitteleuropea ne ha avuta. Non a caso Eyes Wide Shut nasce da un racconto in tedesco, che ha un preciso riferimento alle origini ebraiche, mitteleuropee, di Kubrick. Chi afferma che fosse attratto solo dal cinema dice uno sproposito. Era un uomo di grande cultura, di grandi letture. E' sempre stato affascinato dalla musica, dalla filosofia e dalla letteratura europea. Da Schnitzler in particolare. Quando era giovane vide il film di Max Ophuls La Ronde, tratto appunto dallo scrittore austriaco, e ne rimase affascinato. Il pessimismo e insieme la lucidità di quella cultura, l'importanza della psicoanalisi, la visione di un mondo che va distruggendosi, tutto ciò era molto vicino alle sue corde. E quando si è dedicato a Doppio Sogno, lo ha fatto con grande rispetto filologico per il racconto. Non è come Leos Carax che prende Melville (Pierre or The Ambiguities, il libro da cui è tratto Pola X) e lo butta dalla finestra. Un'operazione del genere non ha senso. Se uno impiega così tanto tempo a fare un film tratto da un libro, non può buttare via il significato originale.

Però il film è ambientato a New York nei giorni nostri, invece che nella Vienna alla fine dell'Ottocento...
Ma la bellezza del film sta proprio in questo! E' una trasposizione che crea una sorta di straniamento. Un sogno, appunto. Un "non luogo", come in Shining forse. E' questo che gran parte della critica non ha compreso. Ma come fa la critica americana, ma anche quella italiana, a dire che il film è "irreale", che è così diverso dal libro, che Kubrick avrebbe dovuto viaggiare di più, muoversi! Tutto questo è assurdo, un regista non ha bisogno di viaggiare per conoscere il mondo! Un artista ha la sua personale visione del mondo. Il problema è che la gente accetta un film di fantasia da Spielberg o Lucas perché il contesto è chiaramente irreale, ma quando si parla di sentimenti, di persone, pretende che tutto sia assolutamente realistico. Ma cosa è realistico? E cosa è fantasia? La storia migliore che conosco, a questo proposito, riguarda il grande filosofo marxista, Louis Althusser. Quando uscì Shining, la gente disse che era una storia incredibile, assolutamente irreale; due mesi dopo Althusser uccise a coltellate la moglie e fu internato in un manicomio. Lo raccontai a Kubrick e lui trovò la storia molto interessante.

C'è dunque uno strano dualismo nel film. Tra la compiutezza formale di quello che si vede e l'irrealtà, la sospensione, di quello di cui si parla?
E' la stessa storia di tutti i film di Kubrick: la vita ha un significato, ma bisogna andare oltre. Tutto ciò ha a che fare con la dualità dell'essere umano, che Kubrick cercava sempre di mostrare. Ed ha a che fare anche con la sua dualità: lui era un "anarchico conservatore". E' difficile da capire, ma era veramente entrambe le cose: anarchico nel senso che detestava l'autorità, era contro ogni forma di potere. Ma allo stesso tempo non credeva nel progresso degli esseri umani, non credeva in nessun cambiamento, per lui gli esseri umani sarebbero rimasti sempre gli stessi. Era spaventato dall'ordine, che tutto paralizza, ma allo stesso tempo sapeva bene che il disordine è incontrollabile. E questi due poli sono sempre presenti in ogni suo film. Quando penso a Stanley Kubrick mi viene sempre in mente una frase di Paul Valery: "Due pericoli attragono il mondo, l'ordine e il disordine."

FilMaker's Magazine, anno 2 N.9, Ottobre 1999
Michel Ciment
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