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A.I. - Artificial Intelligence
di Steven Spielberg
Regia: Steven Spielberg
Cast: William Hurt, Jude Law, Jake Thomas, Robin Williams, Frances O'Connor, Sam Robards, Brendan Gleeson, Clara Bellar, Keith Campbell, Daveigh Chase, Emmanuelle Chriqui, Kathryn Morris, Adam Scott, Kirk B.R. Wollerns
Sceneggiatura: Steven Spielberg
Distribuzione: Warner Bros.
Durata
: 146'
di Filippo Ulivieri*
nessuno2001@bigfoot.com
Usa, 2142. Il pianeta Terra è stato invaso dalle acque a causa dello scioglimento delle calotte polari per via dell'Effetto Serra. I pochi esseri umani rimasti controllano scrupolosamente le nascite e si servono di androidi, i mecca, per i più svariati usi. Una delle aziende all'avanguarda nella progettazione e realizzazione di androidi, la Cyberthronics, decide di inserire sul Mercato un nuovo modello di mecca: il bambino da amare. I coniugi Swinton, genitori di un bambino in coma, ne prendono uno, David, tenendolo fino a quando il loro figlio naturale, Martin, non si risveglia dal coma e non torna a casa. A quel punto per David comincia un lungo viaggio alla scoperta… della Fata Turchina.
A. I. - Intelligenza artificialePortando a conclusione un progetto a lungo sognato da Stanley Kubrick, Steven Spielberg realizza uno dei suoi film più sinceri, evitando la retorica e le facili consolazioni in cui, purtroppo, spesso scivola. Sembrerebbe che la cura Kubrick sia servita all'amico Steven, insegnandogli l'ambiguità e la difficoltà a trovare immediate soluzioni. Ma nemmeno questo può essere un commento definitivo sull'esito del film, più complesso e ambiguo di quanto sembri ad un primo sguardo, e anche più difficile da apprezzare delle precedenti opere fantastiche del regista.

Il film
E' separato in tre parti, che risultano distinte per stile e anche per risultato estetico finale, collegate da una sceneggiatura che ricalca la trama del Pinocchio di Collodi, inglobando al suo interno tre racconti dello scrittore di fantascienza Brian Aldiss. La prima parte è tratta abbastanza fedelmente dal racconto Supergiocattoli che durano tutta l'estate, il breve testo che aveva affascinato Kubrick ed era stato il punto di partenza del progetto. Della struggente e al tempo stesso fredda storiella di Aldiss, il film di Spielberg mantiene toni e stile. Un inizio perfetto, malinconico, a passo rallentato, fotografato magnificamente con alcune metafore visive che connettono il piccolo robot David al computer HAL 9000 di 2001: Odissea nello Spazio. La parte centrale del film è la più movimentata, ma anche quella meno omogenea, tanto che resta staccata nettamente dall'inizio del film e dal finale. Una sequenza troppo da baraccone e da film d'azione, con atmosfere che ricordano (incredibile dictu) un po' troppo L'implacabile con Arnold Schwarzenegger. Un paese dei balocchi al contrario, con scenografie da rodeo meccanico (polvere e bulloni), che vorrebbe essere inquietante ma ha un ritmo eccessivamente frastornante, che lascia lo spettatore come David che sgrana gli occhi e si aggrappa a Jude Law per chiedere protezione. Stranamente la parte che sembra piacere di più al pubblico.
Il lento e sospeso finale conclude il viaggio di David con delicatezza e commozione, osando molto, con il rischio, tuttavia affascinante, di dare alcune cose per scontate, nonostante certi accenti didattici. Sembra quindi che Spielberg abbia seguito in tutto e per tutto il punto di vista del robot David, costringendo lo spettatore a scoprire e capire gli eventi con i tempi del personaggio, provocando emozioni simili a quelle che il protagonista dovrebbe sentire a causa di ciò che gli succede. Ovviamente non è questo che ci stupisce quando dietro la macchina da presa c'è Spielberg, abilissimo manipolatore di emozioni. Gli elementi sorprendenti del film, o per lo meno spiazzanti, vanno ricercati altrove. Innanzi tutto stupisce piacevolmente il commento musicale del fedele John Williams: ci aveva abituati a fanfare esaltanti (il tema di Indiana Jones e, anche nei film più interiori, come E.T.) e orchestrazioni solenni e trionfali, mentre qui sceglie un passo lento e in sordina, che si adatta ed esalta il timbro pacato del film.Haley Joel Osment in braccio a Steven Spielberg Impossibile poi non menzionare Haley Joel Osment, di una bravura robotica, straordinario comunicatore dei moti interiori del personaggio, che spicca tra gli altri attori, nessuno dei quali lascia un'interpretazione memorabile. Lo stupore maggiore nasce però dalla regia di Spielberg, atipicamente fredda e meno consolatoria del solito. Tutti i difetti che sono stati riscontrati nel film sono effettivamente presenti: molte delle critiche negative (sia pur eccessivamente acide e forse ansiose di gettarsi contro il film evento dell'anno) sono, per lo meno parzialmente, condivisibili. A.I. è davvero discontinuo, ha buchi a volte imbarazzanti nello script (ma non nei dialoghi), soffre di un casting infelice (passi Jude Law, sia pure in extremis, ma William Hurt è da pensione e Sam Robards trasparente), appare superficiale nel trattare i problemi morali dell'ipotetica società del futuro legati all'interazione su vastissima scala di uomini e macchine, ha slanci troppo fiabeschi che poco si integrano con il background da fantascienza, ecc.
Allo stesso tempo però risulta visivamente affascinante, sincero e assolutamente non pretenzioso, emozionale anche se freddamente emotivo, ambizioso nelle tematiche e con dei risvolti ben poco rassicuranti pur essendo dichiaratamente una favola. Ed è da qui che si dovrebbe partire nel valutare il film: nonostante sia un vero film di fantascienza, la chiave di lettura di A.I. è quella della fiaba, annunciata dalla voce over iniziale (l'incipit "Era il tempo in cui lo scioglimento delle calotte polari..." è esattamente il classico "C'era una volta") e ribadita dai costanti riferimenti a Pinocchio: tutta la ricerca della Fata Turchina, il libro che Martin, il figlio naturale dei Swinton, suggerisce crudelmente alla mamma perché David lo avrebbe adorato, ma anche i disegni alle pareti della stanza dove Martin è ibernato (che provengono tra l'altro tutti dall'immaginario fiabesco) sono lì a farci tenere a mente in che territorio siamo. Non si tratta di giustificare le carenze della sceneggiatura (vero punto a sfavore del film), ma di mettere a fuoco che il target a cui punta il film è più il cuore che la mente.

La storia di A.I.
Riguardo alle influenze di Kubrick che rimangono nell'opera compiuta, dobbiamo credere alle dichiarazioni di Spielberg, del produttore di Kubrick, Jan Harlan e degli sceneggiatori che avevano lavorato con lui durante gli anni '80 e '90. Spielberg ha confessato che gli sembrava di lavorare come un egittologo, recuperando frammenti di visioni kubrickiane da ricomporre nell'opera finita. Allo stesso modo deve fare chi vuole ricercare cosa è di Kubrick e cosa di Spielberg in questo film, unico sistema per affrontare in modo sensato questo futile, ma inevitabile e (ammettiamolo) appassionante, giochetto. Inutile infatti mettersi a dire che Kubrick avrebbe fatto in un altro modo (il che è ovvio, e non perché si tratta di Kubrick, ma semplicemente di due persone diverse), o che avrebbe osato di più e così via. Stanley Kubrick, negli almeno venti anni di pensieri sul film, aveva preparato più di 800 bozzetti per le scenografie, per cui l'aspetto puramente visivo del film potrebbe essere suo. Harlan ha dichiarato che le pagine firmate da Kubrick sono state riscritte, ampliate e modificate da Spielberg secondo la sua indole, rispettando tuttavia l'intento originario. Come due quadri con lo stesso soggetto dipinti da due artisti molto diversi; questa esatta metafora è stata usata anche da Katharina Kubrick Hobbs, figlia adottiva del regista, fermamente convinta che A.I. sia un film di Spielberg, generato dalle idee, dalle ricerche e dall'entusiasmo di Kubrick, ma comunque di Spielberg. Sulle intenzioni di Kubrick sappiamo solo quello che i tre sceneggiatori, che hanno lavorato per lui in faticosi anni di riscritture, ci hanno detto: Sarah Maitland, scrittrice esperta di miti e funzionamento del cuore ha dichiarato che Kubrick si riferiva al film sempre chiamandolo Pinocchio e che il suo intento era di sviluppare una storia che abbracciasse tre millenni e fosse considerata il punto fondamentale sulle tematiche dell'intelligenza artificiale, per la visualizzazione dei robot e il loro funzionamento (resta la frase "Stanley, come saranno i robot del futuro?" "Nell'esatto modo in cui io li faccio vedere in questo film"). La scrittrice era stata assunta per mettere a fuoco l'aspetto emotivo della trama, perché "Kubrick voleva farci amare i robot". Brian Aldiss nel tentativo di ampliare il suo raccontino, inventandosi anche una sorta di campo di concentramento per robot in disuso, affermava che per Stanley la tecnologia degli androidi alla fine avrebbe preso il potere e sarebbe stata un miglioramento della razza umana. Aldiss litigò furiosamente con Kubrick perché gli veniva sempre chiesto di scrivere una fiaba, cosa per lui inconcepibile riguardo a un mito fantascientifico moderno (senza mezzi termini ha detto "Era la fottuta Fata Turchina che usciva dai ghiacci! Non potevo concepirlo allora e non ci riesco neanche oggi"). Anche se non è tutt'ora chiaro l'apporto di Ian Watson, terzo scrittore per Kubrick, con il quale era arrivato alla stesura definitiva di un trattamento di 90 pagine a cui si è ispirato Spielberg, tutte queste idee fin qui riassunte sono state trasferite nella pellicola, anche perché congeniali al regista stesso. Ed è qui che potrebbe trovare credito la voce che Kubrick volesse solo produrre per Spielberg il film, o in un'ipotesi più credibile, che intendesse collaborare con lui, per le qualità di regista sensibile, visionario e fanciullesco che tutti attribuiscono a Spielberg. "Ho cercato di girare il film con gli occhi di un bambino perché era quello che Stanley mi aveva chiesto", una dichiarazione che suona forse come una giustificazione fastidiosamente inattaccabile, ma che andrebbe anche presa come metro di giudizio (ed effettivamente, come dicevamo, tutto il film è una sorta di soggettiva del bambino robot). Quello che forse manca e che potrebbe essere andato perso, smarrito nella mente di Kubrick (tutte le precauzioni sono qui più che mai d'obbligo perché stiamo speculando su un terreno impossibile), sono le sue (lecito supporre) immense ricerche sul tema dell'intelligenza artificiale, non lontane da questioni filosofiche profonde, e le idee sulla moralità dell'integrazione tra uomini e robot, che trovano nel film di Spielberg solo tenui accenni. Ricordano la Maitland e Aldiss che Kubrick si lamentava di Blade Runner perché non vedeva lo scopo di cacciare gli androidi se era così difficile distinguerli dagli esseri umani e che uno dei punti nodali del suo film sarebbe stata una vera crisi metafisica con il bambino-robot messo di fronte al fatto di essere una macchina: "se un robot si sente un bambino e si comporta come tale, cosa gli manca per essere un bambino?" E' vero purtroppo che Spielberg riduce tutte queste massime questioni filosofiche e speculative su cosa rende umano un umano e cosa impedisce ad un robot di esserlo (che da sole costituiscono un'amplissima letteratura sia scritta che filmata) ad un semplice desiderio affettivo, come se non sapesse parlare d'altro, film dopo film, se non del fanciullo bisognoso di protezione nel nido domestico (ovunque e qualunque cosa esso sia), ma realizza l'aspetto favolistico nel miglior modo possibile, rivolgendosi più agli adulti che ai bambini, altro punto a favore. Più emotività che intelligenza artificiale quindi, in un film imperfetto ma affascinante, con i suoi difetti ma con il grande pregio di suscitare un vero animoso dibattito, a cui manca forse (per dare una conclusione - provvisoria e parziale - al lavoro da egittologi) una mano guida presente a ricordare a Spielberg quello che era opportuno mettere meglio a fuoco.








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* Chi è Filippo Ulivieri?
Un amico ma non solo. Filippo è il curatore di Archivio Kubrick, l'imprescindibile banca dati italiana sul maestro del Bronx. L'estrema competenza kubrickiana di Filippo ci ha imposto di sentire e poi pubblicare la sua opinione su A.I.
Visitate Archivio Kubrick.
Ne vale la pena

















Intervista a
Julian Senior
collaboratore di Kubrick da Arancia meccanica al progetto A.I.




Chi è
Haley Joel Osment

Dove potete vedere
gli altri protagonisti:

Jude Law
ne Il nemico alle porte

Frances O'Connor

in About Adam